Parlando di disordini alimentari, è facile
pensare a parole come "anoressia", "bulimia" per descrivere
chi ne soffre, parole che generalmente sono il sunto di quanto in realtà il
disagio nasconde.
Partendo dal fatto che chi soffre di
eating disorders non necessariamente appartiene ad una di queste categorie, e
che nemmeno è facile definirle tali, bisogna precisare qualcosa: il disordine
alimentare non si sviluppa, come la varicella, con indubbi segni di
riconoscimento. Tanto meno esiste una e una sola cura. E quindi, quando
nell'immaginario generale si dipinge nella mente la raffigurazione
dell'anoressica, si è soliti pensare ad una scheletrica creatura che rifiuta il
cibo con fermezza e che ha come intento e scopo quello di assomigliare a una
modella o di essere esteriormente bellissima. Sbagliato.
Immaginate di svegliarvi, e sentirvi pesanti. Non potete muovere un piede, poi l'altro, e le gambe. Vi trascinate lentamente fino allo specchio, domandandovi cosa succede.
Arrivate lì, fate uno sforzo e immaginatevi di veder riflesso un estraneo.
Chi diamine è quello? Che ne ha fatto del mio riflesso?
Ma il tempo scorre veloce e non importa se questo cambiamento vi penalizza, dovete correre, immergervi nella vita e continuare come se niente fosse.
Continuate a immaginare, pensate di arrivare a lavoro, a lezione, esauste e sconsolate, credendo di trovare un riscontro del vostro triste cambiamento nell'opinione altrui. E così non è. Ognuno, impegnato alla sua postazione, non nota che improvvisamente voi non siete più voi. Eppure è così evidente, insomma, non passate più dalle porte e gli estranei vi fissano allarmati. Godzilla! Ma nessuno vi vede e lì, invisibili, continuate mollemente a vivere.
I giorni passano, questa misteriosa metamorfosi non tende a regredire. Anzi! Ogni giorno il vostro aspetto cambia radicalmente, fate un baffo a Kafka, voi sì che siete regine della trasformazione notturna! Questi cambiamenti diventano ogni giorno più limitanti, debilitanti, ma quale medico curerebbe una malattia che non vede? Mondo di ciechi, son tutti impazziti?
E così, lentamente, un giorno per volta, smettete di parlarne. Il riflesso e voi, questo dubbio, questa condanna. Odio che sempre più visceralmente covate verso uno specchio che vi ha derubate della vostra identità.
Che fare? E adesso pensate questo: Mi odio. Voglio morire.
Se oggi mangio anche solo altre 100 calorie domani ingrasserò.
Ho vomitato un caffè.
Questi 39 chili sono odiosamente troppi.
Peso 100 kg e ogni giorno mangio 300 kcal. Il caffè è rigorosamente senza zucchero.
Peso 35 kg e oggi ho ingerito 5000 kcal.
Oggi lo specchio mi ha mostrato un edema, non posso indossare più nulla.
La mia vita è finita, preso quel chilo, non posso più sostenere l'esame. Non posso baciare il mio ragazzo, non posso uscire.
Mi odio.
Perché mi sono svegliata stamane e non riesco a digiunare?
Provate ad evitare tutti gli specchi.
E le bilance.
E i fast food.
E i supermercati.
E il frigo.
E il cibo.
Provate a sentire l'adrenalina del digiuno assoluto e a sopravvivere al vuoto dello stomaco e non riuscire più nemmeno a muovere un passo dopo aver mangiato anche del cibo crudo, pur di ingoiare qualcosa.
Ogni giorno.
E ancora, e ancora, e ancora.
E perché? Le modelle sono indubbiamente bellissime, ma non è la copertina di Cosmopolitan il vostro obbiettivo.
Ma quel riflesso, quel numero che quantifica la precisione dell'immagine che vi qualifica come persone degne o persone indegne. Nessuna morale, solo numeri.
E cercare, ogni singolo giorno, di arrivare allo zero.
Non importa se utopico, non importa se impossibile, non importa niente tranne quel riflesso che improvvisamente non vi appartiene più. Derubati della vostra identità come lo fu Mattia Pascal. E non potete mica fuggire al casinò, eh no! Dovete convivere ogni giorno con quell'incubo quale il non essere padroni della propria vita.
Incatenati a vincoli, regole, paure, paranoie, dismorfofobia.
Ecco, questi sono i disordini alimentari, non certo il voler somigliare a Kate Moss.
E non ditemi che è colpa dei media. Quando un abuso, una violenza, un trauma, un susseguirsi di infinita tortura personale ha segnato una persona, non c'è media che possa avere più valore di questo.
Non pecchiamo di superficialità, non adesso che siamo dotati di strumenti di informazione abbastanza facili da utilizzare.
E ricordiamoci anche che il disturbo alimentare è il SINTOMO, non il problema e basta.
Ilenia Romano
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