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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

giovedì 19 luglio 2018

Ho vinto sulla malattia.


Ci sono volte in cui credi di vincere e in realtà stai perdendo. 
Ho 23 anni e quando avevo 19 anni mi sono ammalata di anoressia nervosa: il ricordo più nitido di quei giorni è la sensazione di onnipotenza nel dominare il mio corpo. Ero talmente forte da poter controllare i suoi istinti naturali, sconfiggevo la fame dicendo semplicemente “non hai davvero bisogno di cibo” e funzionava, perché passava veramente; avevo inoltre il controllo della forma del mio corpo, che si incasellava perfettamente nei paradigmi di realtà che avevo decretato essere bellezza. 
Una realtà numerica, fatta di grammi e centimetri, oggettiva e che mi sembrava meritocratica: se mi fossi adeguata ai suoi standard sarei sicuramente stata bella e dunque avrei avuto più amici, l’università sarebbe andata bene, avrei trovato l’amore… la mia vita, insomma, sarebbe stata migliore. In questo cosmo ordinato anche le mie parole erano nette e precise, frasi preconfezionate come “no grazie per me basta, non ho molta fame” o “ah dici che sono dimagrita? A me non sembra…”, frasi che funzionavano sempre. 
Ho capito che era tutto una fragile impalcatura quando ho dovuto inserire quelle frasi in un dialogo, quando ho capito che il confronto con gli altri, da me prima usato come metro di valutazione, era invece la presa di coscienza che ciò che io credevo vero era la mia soggettiva visione della realtà; il passo successivo è stato capire che questo modo soggettivo di vedere il mondo, anche se mi faceva sentire potente, mi stava danneggiando: non potevo camminare tutto il giorno come gli altri, non potevo scegliere il pranzo in base al gusto ma solo in base alle calorie, non potevo avere il ciclo come le altre ragazze, non potevo studiare, non potevo ridere, non potevo volere ciò che in realtà volevo. Allora ho deciso di andare al Centro Disturbi del Comportamento Alimentare della mia città e iniziare un percorso di cura, per provare ad ottenere una forza vera, non quella illusoria che avevo avuto fino a quel momento. 
Ci sono voluti due anni e tante ore di dialogo, con tutti: la mia terapista, il mio ragazzo, la mia famiglia, i miei amici, le persone che conoscevo in rete, i miei compagni di università, le mie amiche… non ho mai nascosto a nessuno la mia malattia perché io avevo bisogno di parole. 
Alla fine ho capito che non avevo bisogno di una vera forza perché non c’era un modo giusto o sbagliato di dominare la realtà, semplicemente non avevo bisogno di dominarla per essere felice, ma di pormi accanto alle cose che succedevano e vedere insieme a loro come affrontarci a vicenda. 
Non esistono paradigmi corretti o correlazioni lineari, la mia stessa malattia era un grumo di emozioni, sogni e paure che poteva essere districato solo attraverso il dialogo, traducendo tutti questi aspetti a parole non per controllarli, ma per comunicarli a qualcuno, perché comunicare ed esprimermi era, ed è, il modo più bello che ho di stare a questo mondo. Ho vinto sulla malattia quando ho capito che non c’erano vincitori e ho cominciato a prendere le mano i miei problemi, senza cercare di dominarli ma proseguendo con loro il cammino, cercando di confrontarmi con essi. Grazie a questo alcuni se ne sono andati naturalmente, con leggerezza, altri rimangono con me e continuano talvolta a rallentarmi, mi confondono e cercano di farmi cambiare strada. Io però non li abbandono perché so che poi tornerebbero a colpirmi: sto accanto a loro e provo a capire perché fanno così, discuto con loro e di loro con gli altri. 
Cammino una parola alla volta cercando dei sorrisi che non si misurano in grammi.

Eleonora
 

martedì 17 luglio 2018

Luna, l'anoressia di Petra.



Luna era l’anoressia di Petra, la sua, non quella descritta dai libri.  
Petra l’aveva conosciuta (…), le era piaciuta ed aveva deciso di farsela amica. Luna si era presentata con un sorriso enorme, era stata veramente convincente quando le aveva promesso aiuto per sostenere il peso che si portava addosso. Petra aveva creduto a tutto e le aveva permesso di entrare nella propria vita.
Luna non è una di quelle amiche che entrano in punta di piedi, lei spalanca la porta e si prende tutto, inizia a fare compagnia giorno e notte ed alleggerisce le giornate che scorrono veloci ed apparentemente leggere. Aveva fatto così anche con Petra, non aveva chiesto permesso e si era presa quanto spazio volesse.
Petra impiegò poco tempo per comprendere che Luna se ne sarebbe andata via con molta difficoltà, e che sarebbe stata difficile da arginare. Era l’ospite che puzza dopo tre giorni come il pesce.
Nonostante questa lucida consapevolezza non aveva opposto resistenza e le aveva permesso di dirigerle la vita esattamente come lei voleva. Luna prendeva forza ogni giorno, tanto meno mangiava Petra tanto più cresceva Luna. Ogni chilo perso dal corpo era un chilo in più di muscoli preso dalla sua compagna. Nel momento stesso in cui vedeva la bilancia calare, Luna si espandeva ed alzava il braccio come il condottiero che ha vinto una battaglia, ma se la bilancia segnava un aumento di peso Luna si accasciava a terra, seduta con la testa tra le ginocchia. Dopo il primo momento di sconforto, si incattiviva e imponeva a Petra restrizioni più rigide.
Petra camminava attraverso il mondo e Luna era sempre un passo avanti a lei, se attraverso dei raggi speciali avessimo potuto illuminare Luna avremmo visto una figura femminile filiforme, muscolosa e grigia che se ne stava a pochi centimetri da Petra e che spesso le sussurrava cose in un orecchio.
Petra si era affezionata a lei, era una presenza costante che la faceva sentire molto meno sola, anche se tutti i giorni le rubava un po’ di felicità. Pensava potesse essere un prezzo giusto da pagarle in cambio dell’alleggerimento promesso. Le cose per un po’ andarono davvero così, Petra si sentiva più leggera al fianco di Luna, il cuore era meno pesante ed il piombo si era ridotto.
Purtroppo era una dolorosa illusione della mente, come del resto era stata la mente a generare Luna, che aveva iniziato a chiedere sempre di più non era mai contenta degli sforzi di Petra e non aveva nemmeno rispettato i patti, il peso era sempre il solito anzi era aumentato. Ma come mandarla via? Adesso non poteva certo dirle di andarsene senza tornare mai più, Luna era diventata fortissima e non solo camminava sempre avanti a lei, teneva Petra sotto controllo e la fuga non era possibile.
Qualche volta aveva provato a disobbedirle e le conseguenze erano state devastanti. Luna si era infuriata e aveva aumentato il controllo. Petra aveva ad un certo punto smesso di combatterla, si era abbandonata al suo totale comando ed eseguiva qualsiasi cosa le chiedesse.
Le cose andarono avanti così, fino al giorno in cui Petra perse il senno e la mente razionale l’abbandonò permettendo alla rabbia di rompere gli argini. Sotto l’effetto dei calmanti e sdraiata sul divano catatonica, Petra guardava nel vuoto, ma in verità non c’era il vuoto davanti a lei, stava fissando Luna. In un istante che vale una vita intera, Petra giurò che l’avrebbe cacciata via che avrebbe fatto tutto il possibile per farla sparire per sempre.
Luna fece un sorrisetto sarcastico, senza credere alle intenzioni della compagna, pensando che non ce l’avrebbe mai fatta. Dovette ricredersi però, Petra iniziò a frequentare ben due dottoresse una che le curava la mente ed una che le curava il corpo, ed un giorno dopo l’altro smise di obbedire ai suoi ordini. Luna perdeva i suoi muscoli, mentre Petra recuperava peso ed energie. Nelle sedute con la dottoressa Lara parlavano spesso di lei senza nominarla esplicitamente, discutevano di come lei fosse stata fondamentale e di come l’avesse in realtà salvata da strade ben più pericolose.
Una stava seduta davanti alla dottoressa, l’altra invisibile e provata sul divanetto accanto, senza voce propria. La faceva parlare Petra, la descriveva e la rendeva umana ed unica, cosa impossibile anche per il più sofisticato libro di medicina.
Quando andava dalla dottoressa Silvia, Luna se ne stava appiccicata alla bilancia per vedere il peso, ma Silvia proprio perché conosceva molto bene le amiche come Luna, misurava Petra di spalle.
Luna vedeva attraverso gli occhi di Petra e con questo piccolo stratagemma la dottoressa Silvia rendeva entrambe cieche.
Accadde una cosa imprevista, mentre Petra guariva, Luna non scompariva, cambiava forma e assumeva colori. Aveva perso la sua forma muscolosa e mascolina, era diventata una figura femminile delicata con tutte le sfumature di Petra.
Quando il lavoro delle dottoresse entrò in sinergia con il Buddismo, Petra comprese che Luna era il suo secondo nome e che quell’amica tanto odiata era lei stessa. Per renderla innocua avrebbe dovuto accoglierla e volerle bene esattamente quanto ne doveva volere a se stessa. Luna non se ne sarebbe mai andata, non poteva cancellare una parte di se, avrebbe sempre camminato al suo fianco e stava a lei decidere il tipo di rapporto che avrebbero avuto.
Dopo tanti sforzi e sofferenze Petra ha imparato a tenere per mano Luna, a diventarle davvero amica e ad ascoltarla, sapendo che non deve permetterle di riprendere le sembianze di un tempo, pericolo che è sempre in agguato. Non si guarisce mai definitivamente dall’amicizia con certe figure, anche nella vita non si cancella l’amicizia, si allontana la persona se ci fa soffrire.
La cosa più bella della relazione con Luna, è che permette a Petra di riconoscere le ragazze e le donne che hanno amici-zie simili alla sua e di poterle aiutare, anche solo attraverso la comprensione. Probabilmente Luna entra in contatto con le Amiche, hanno un linguaggio tutto loro, poi si avvicina a Petra e le sussurra parole in un orecchio, parole che servono a Petra per osservare chi le sta davanti. In certe malattie non importano tante parole, quello che il malato cerca è qualcuno che capisca il dolore provato, serve a vincere la solitudine e lo scoraggiamento.
Luna aiuta Petra proprio in questo a scegliere il silenzio giusto, a capire quando è il momento di dire qualcosa mostrando alla persona che si può tornare a vivere.
Oggi Luna si veste dei colori dell’arcobaleno, certi giorni torna ad essere grigia ma Petra sa che è solo un momento che passerà, ne hanno passate tante insieme è solo un giorno in più. Saranno amiche per la vita e le ossa leggere di Petra le ricorderanno ogni volta i tempi in cui Luna era un aguzzino pieno di muscoli.
La sera quando Petra è a casa, se Luna fosse visibile la vedremmo seduta sulla poltrona con un pigiama colorato e sulle ginocchia Lella, la gatta nera delle loro famiglia a due.

Diletta

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Estratto dal racconto "La leggerezza del piombo", disponibile in versione integrale al seguente link



domenica 8 luglio 2018

Io corro contro anoressia e bulimia.


Anoressia, due donne morte nel Foggiano. Comunità psichiatrica scossa, servono centri specializzati. Due vittime in poche settimane, la prima era una studentessa universitaria, l’altra una cinquantenne.”

Sembra che la possibilità di vivere non sia così scontata in quest’epoca. La possibilità di fare esperienze, studiare, avere amici, innamorarsi e anche soffrire per gli amori che finiscono, la possibilità di viaggiare, esplorare, avere figli, la possibilità di sdraiarsi su un prato a guardare le stelle e ringraziare Dio solo per il fatto di essere vivi. La possibilità di fare progetti, sognare il futuro, pensare a come sarà la propria vecchiaia, la possibilità di fallire, cadere e rialzarsi, la possibilità di ammalarsi e ricevere le cure necessarie a guarire. La possibilità di diventare grandi e scontrarsi con le sfide che la vita ci mette di fronte, di guardare i cartoni animati con i propri bambini, la possibilità di sposarsi e mettere un lungo abito bianco da conservare con amore. La possibilità di conoscere un’infinità di persone che arricchiranno la nostra vita e che a volte ci faranno incazzare, di prepararsi a fare un lavoro che ci renderà felici e che magari renderà felici tante altre persone. La possibilità di piangere per le ingiustizie subite e la possibilità di cambiare. Cambiare tutto, cambiare vita, cambiare il proprio futuro. La possibilità di fare l’esame di maturità e di non dormire tutta la notte per la paura di non riuscire e di gioire come non mai di fronte ai successi. La possibilità di amare ed essere amati. 
La possibilità di essere una donna, rotonda e formosa, femmina e madre, o single libera e ribelle, in carriera o in una casa piena di figli, la possibilità di godere delle cene opulente e delle bontà della nostra terra, di mangiare. Che mangiare è vivere. C’è qualcosa che questo nostro mondo teme…qualcosa che schiaccia le donne fino a ridurle a corpi inanimati, corpi morti che non possono più fare nulla. 
Così uso la strada attraverso la quale sono passata, la strada di privazioni e sbarre mentali, rinuncia e morte dell’anima, perché posso sorridere e ascoltare le canzoni più belle che siano state scritte, posso studiare, parlare, fare l’amore…posso correre. E siccome nulla di tutto ciò era scontato, alle donne che non possono dedico i miei passi. Uno dopo l’altro, i miei chilometri sono per voi, per chi non ce l’ha fatta, per chi è in lotta. 
I disturbi alimentari sono una delle piaghe sociali più terribili del nostro tempo, rubano tutto, tutta la vita dalle mani, uccidono e se pensate che la società non abbia responsabilità, andate a vedere un giornale di moda o le passerelle o le blogger di Instagram. Rispondo alla magrezza richiesta da questo mondo malato con le mie gambe forti, allenate a macinate chilometri, allenate a percorrere la vita come meglio credo. E io ho pensato che, alla fine, dopo tutti gli anni incatenata, ora voglio viverla correndo. 
Svegliamoci, che c’è bisogno di solidarietà, di amore, di prese di posizione, di smettere di guardare solo noi stessi e iniziare a guardare le persone che ci passano accanto. Per dare loro un nome, perché nominare significa donare la vita, anche a chi l’ha persa o non l’ha mai avuta. 
Colonna sonora: I want to break free, Queen.
Chi aderisce a questa corsa con me?
Dedico il mese di luglio a correre contro l’anoressia e la bulimia, forse non cambierà nulla, forse da una piccola cosa ne nascerà una grande, ma non è così importante…io corro al posto di chi non può più farlo e questo mi basta. 

Ogni giorno racconterò un pezzo della storia di Emma, è una storia inventata. Ma così vera, come solo le storie che raccontiamo possono esserlo. 

SENZA NOME
Si chiama Emma.
Ma non è che abbia proprio un nome. E non si può dire che proprio esista. Esiste in un modo tutto suo, esiste non esistendo, può esistere solo perché non esiste più.
La sua non vita è difficile.
La sua non vita è faticosa.
Vive la non vita di una ragazza anoressica.
Non mangia. Non beve. Non esce. Non ama. Non sorride. Non parla. Non guarda. Non sente. Non sogna. Non desidera.
Non respira, quasi più. Respira piano piano, soffia quel che rimane del suo spirito. Soffia fuori un po’ di dolore e inspira quel che basta per non morire, almeno per quel giorno.
A volte le capita, dall’isola segreta del letto su cui è sdraiata, di ricordare e ricorda il cibo che mangiava ma non perché ha fame, perché sognava. Mangiava e rideva e un senso trovava, quel senso che le sue giornate popolava. Era allegra, appassionata, intelligente e un po’ sfrontata. Sembrava tutto volto al bene, prezioso il tempo scorreva nelle sue vene.
Dice lei: “il mio letto è l’isola che non c’è, sono un bimbo sperduto attaccato a un tubo. Dov’è Peter Pan a far da padre e una Wendy madre? Mi serve un uncino con cui giocare e favole da ascoltare. Mi serve un nuovo modo per riprendere a volare”.
Che fantasia ha. Non fa progetti, che non c’è forza per poterli sostenere, ma i rimasugli della bellezza che ha incontrato, anche in un cartone animato, riempiono di immagini quella testolina appoggiata sul cuscino più duro che sia mai stato creato.
E’ pazza, dice qualche amico che non ha più, che schifo, dice l’amica di sua madre all’amica di suo padre, ma perché non mangia e basta, dice la vicina di casa della nonna, povera stella adesso vogliono fare le diete e si piacciono così, prego per lei, dice la catechista che l’ha cresimata.
“Ma vaffanculo”. Dice lei assonnata.
“Quante parole sprecate, quanta aria buona solo ad essere evaporata, tolta a me che muoio soffocata. Ogni parola vana che il mondo profana, è un minuto rubato, alla mia non vita che gira a vuoto in un cielo rannuvolato, e mai trova la destra della seconda stella, verso un sole che da tanto su di me non sorge più, ora è blu”.
Emma non è mai nata. Ma cosa dici, ci ho parlato, è arrivata, con l’ambulanza, intubata. Non parlava ma c’era, l’ho vista.
Ma non l’hai guardata.
Non è stata Battezzata, non ha acqua tra gli occhi e muore disidratata.
E’ uno di quei fiori che di notte si chiude. E senza bere un po’ di gocce e di sole di aprirsi solo s’illude. Meglio chiusa, per qualcuno.
Chi la vuole magra, chi la vuole nuova, chi non è mai andato a prenderla a scuola e non ha visto gli sguardi irritati di alcuni compagni cattivi, che non si vede ma son disperati.
Sei grassa, balena, dovresti rifarti la faccia rotonda, sei brutta, roba immonda. Dice lei, nella mente: ”ma che vi han fatto di male gli animali, la balena la mucca e il cane. Sto crescendo e ho tanta fame e a casa non manca mai il pane. Io son sola, tra quelle mura di ghiaccio e ho paura ed è quella che sazio, quando apro il frigorifero e mangio fino a vomitare, tutto quello che non c’è più e che non posso più amare. Vorrei riempire le mie guance di baci, ma tra le mani ho solo dolci e tagli mai curati. E’ per questo che noi umani siamo così sconsolati.
Tu vedi il sederone, di quello che mangio al posto dell’amore. Io vorrei solo un po’ di comprensione, che qualcuno vedesse oltre l’impressionante dimensione, che io, ragazza culona, non ho un Nome. Mi chiamano cicciona.”
#iocorrocontroanoressiaebulimia
Federica