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lunedì 15 febbraio 2021

Ascoltarsi per ascoltare - Laboratorio 9 febbraio 2021

 Il disturbo alimentare è una malattia che si manifesta attraverso molteplici sfaccettature. Riuscire
ad avere la possibilità di poter osservare la malattia da punti di vista diversi aiuta la sua
comprensione. Da queste considerazioni, si è cercato di arricchire il laboratorio portando la
testimonianza diretta di persone che hanno vissuto la malattia e ne sono guarite. Questo aiuta da
una parte a osservare le dinamiche attraverso cui il disturbo alimentare agisce, dall’altra parte, la
persona che racconta la propria storia lo fa attraverso una rielaborazione di quello che è stato il
proprio vissuto, le proprie relazioni e soprattutto le proprie emozioni. Chi ascolta spesso riesce a
scorgere importanti e differenti prospettive. A volte capita, come la storia precedente, che chi ha
affrontato e terminato un percorso di cura, possa avere delle ricadute. Questo non deve allarmare
i genitori, poiché la “ricaduta” non è quasi mai un ritorno alla malattia ma rappresenta un percorso
di crescita in cui occorre rivedere certe tematiche del disturbo alimentare, analizzando quegli
aspetti non emersi prima, e che orientano verso la comprensione di cosa è rimasto ancora di
irrisolto. Come abbiamo più volte detto, ogni storia è a se’ e quindi anche il modo di affrontarla è
personale. Questa ragazza si è messa gentilmente a disposizione e lo ha fatto con tatto e
attenzione alla sensibilità dei genitori presenti. Da queste iniziali osservazioni, è emerso quanto un
genitore senta il bisogno naturale e istintivo di poter aiutare il proprio figlio o figlia a ritornare a
essere quel ragazzo o quella ragazza che era prima della malattia. Inevitabilmente questo
evidenzia quanto la famiglia sia coinvolta in un disturbo alimentare e ancora una volta quanto sia
importante che non venga mai lasciata sola. Il laboratorio non si stancherà mai di ripetere che il
genitore non può essere il terapeuta di sua figlia o figlio, ma deve essere appunto il genitore.
Frase banale, semplicistica eppure difficilissima da mettere in pratica. Sì perché alla fine che cosa
è un genitore? Ovvero, cosa rappresenta un padre e una madre per chi vive un disturbo
alimentare?
Ci sono fasi della malattia in cui chi la vive ha una percezione della realtà completamente distorta,
tutto ruota solo intorno alle dinamiche del disturbo alimentare. Inutile le parole, i gesti, gli abbracci
di chi sta loro vicino. Ogni cosa detta dal genitore sembra rimbalzare indietro e non toccare il figlio
o la figlia a cui sono dirette. Sono fasi della malattia molto difficili da sostenere da parte di un
familiare, ancor più da un padre e da una madre. Spesso il genitore prova un senso iniziale
d’impotenza che, col passare del tempo, si trasforma in rabbia per il fatto di non riconoscere più
quel ragazzo o quella ragazza che e’ di fronte a lui. La percezione di entrambi si svolge su piani e
prospettive totalmente diverse. Il genitore è orientato alla cura e a far sparire la malattia. I figli
sono orientati a rifiutare la cura e a mantenere ben stretta a se’ la malattia. In mezzo a loro, c’è
invece vittorioso il disturbo alimentare che subdolamente si prende gioco di entrambi.
Spesso il disturbo alimentare spinge i genitori a voler cercare soluzioni razionali al manifestarsi
della malattia, come se potessero esistere delle risposte “create a tavolino” che possano in
qualche modo riaggiustare un qualcosa che si è momentaneamente rotto. Questa ricerca mentale
cerca di controllare la paura che improvvisamente rende il genitore nudo e sguarnito di ogni
protezione.
Una ragazza ha raccontato di quanto sia stato utile nel suo percorso di guarigione il
comportamento che il suo compagno ha tenuto con lei ma soprattutto nei confronti della malattia.
Nonostante il disturbo alimentare le impedisse di vivere certe esperienze di convivialita’ e socialità
il suo compagno aveva deciso di non sottostare a questo volere e potere, e lo ha fatto non
rinunciando mai agli impegni presi e lasciando, in quelle occasioni, la ragazza da sola. Questo ha
permesso alla ragazza di riflettere quanto stesse rinunciando a se stessa e alle persone che le
volevano bene per seguire gli ordini che il disturbo alimentare le imponeva. Certo, il loro era un
rapporto di coppia di due persone alla pari. Il rapporto tra genitori e figli al contrario, è basato
principalmente sulla responsabilità. Un padre e una madre si sentono sempre responsabili di ciò
che accade ai loro figli e quando c’è un disturbo alimentare spesso provano anche un senso di
colpa. Ma l’ esperienza di questa ragazza mette in luce quanto sia necessario riuscire a non
sottostare a quello che la malattia ordina. A volte i genitori hanno paura di lasciare i propri figli da
soli credendo che rimanere a casa anziché uscire, anche solo per una passeggiata, possa in
qualche modo proteggerli dalla malattia stessa. Purtroppo non sanno che spesso un tale
comportamento va a rinforzare la già stretta rete che la malattia ha costruito all’interno del nucleo
familiare. E lo fa andando ad attaccare le emozioni che sono il perno sul quale ruotano le diverse
dinamiche della malattia.
Giustamente, come è stato già scritto prima, un padre e una madre desiderano che la propria
figlia o figlio possa ritornare a essere quel ragazzo o ragazza che era prima del disturbo
alimentare. Perché questo possa avvenire, si focalizzano solo ed esclusivamente su ciò che
potrebbe essere utile per risolvere quella situazione, e si lanciano alla ricerca di risposte logiche e
razionali perdendo la loro capacità di emozionarsi. L’unica emozione che impera è la paura, solo che il binomio pensiero razionale e paura non è sempre una buona accoppiata in un disturbo
alimentare. Infatti, quando si assistono a quei rituali che la malattia mette in atto, il genitore che è
solito usare l’accoppiata pensiero razionale e paura non capisce più nulla e questo lo porta agli
inevitabili litigi e conflitti con il proprio figlio o figlia.
È necessario ritornare a dare importanza al proprio sentire, al proprio ascoltarsi, perché questo
aiuta a riconoscere l’entità delle proprie emozioni e soprattutto la loro provenienza. Questo è
importante per non subire la manipolazione della malattia stessa. Se non si conosce da dove
origina la propria emozione, si finirà per agire solo in funzione di quello che vuole la malattia.
Spesso i genitori sono confusi perché non riescono più a capire quello che sta accadendo ai
propri figli. Ma come si fa a riuscire a comprendere l’altro se siamo noi i primi a non capire quello
che sta accadendo a noi?
Un papà ha raccontato di quanto il sostegno ricevuto nel laboratorio gli sia stato utile. Ancora è
vivo in lui il ricordo di quando sua figlia era appena stata ricoverata in una struttura residenziale e
continuava a telefonare perché la riportassero a casa. Lui e la moglie erano disperati perché non
sapevano cosa fare e inoltre erano angosciati per quei pianti disperati della propria figlia.
Importante è stato ascoltare un’altra coppia di genitori che avevano vissuto la stessa esperienza.
Attraverso quella condivisione, sono riusciti a ridimensionare il carico emotivo che sentivano
dentro e ad adottare il comportamento idoneo per non cadere nel gioco manipolatorio della
malattia.
Il laboratorio è importante perché funge da luogo di esplorazione, riflessione ma soprattutto
permette di fare esperienza nell’ esprimere le proprie paure, ansie, fragilità, incertezze non
sentendo su di se’ alcun pensiero o emozione giudicante. Fare una tale esperienza significa non
solo analizzarla mentalmente, ma significa interiorizzarla. Imparare a sentire e ascoltare che cosa
si prova dall’essere libero da ogni giudizio; quel giudizio che spesso aleggia intorno a una persona
che soffre di un disturbo alimentare e che anche il genitore vive sulla propria pelle. Non si può
giudicare chi è malato e nemmeno chi gli sta vicino. Dietro al giudizio c’è sempre la paura di
quello che non si conosce. Per questo, il primo passo verso la conoscenza deve partire dal
fermarsi per sentirsi, per ascoltarsi, per vedersi, per riconoscersi. Allora si è pronti a sentire,
ascoltare, vedere, riconoscere anche l’altro.


Frase della settimana: ASCOLTARSI PER ASCOLTARE