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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

domenica 29 dicembre 2019

Ritorno da me



Falsa compagna dei miei anni in fiore,
mi scegliesti quale vittima indifesa della tua indescrivibile crudeltà, e con inenarrabile irruenza e senza alcun permesso, piombasti nella mia vita, cosi rapidamente che neppure me ne resi conto.
Abitavi la mia mente, provocandomi sensazioni angoscianti e un gran tormento.
Gioia e spensieratezza erano scappate via, percepivo soltanto un gran vuoto.

C'eri solo tu, avevi soppresso la mia voglia di vivere. Chi ero ormai? Un corpo quasi invisibile, dallo sguardo spento e smarrito, ridotta a briciole. Mi sussurravi: “Assaporerai le fiamme. Ti farò scottare poco alla volta, brucerai e io riderò del tuo corpo martoriato, riderò delle tue lacrime, riderò delle grida di disperazione, della tua sofferenza e continuerò a ridere e sghignazzare gustandomi le tue ferite sanguinanti". Oh dannata malattia, quante volte ho combattuto invano contro i tuoi assurdi propositi;
quante volte ho lasciato che mi calpestassi. Gli anni passavano, scanditi nel triste silenzio di lacrime amare che mi rigavano il viso scarno ed infossato.

Quanta sofferenza! Non volevo più sguazzare in quel pozzo putrido e maligno.

Era vita quella, con un sondino ficcato nel naso, senza quasi più capelli, con i denti consumati? Mi stavi portando via tutto ma quel poco di vita che mi rimaneva mi tratteneva ancora. Il mio respiro era debole ma soffiava ancora nel vento. Era vivo. Ero viva. Avrei potuto rialzarmi. Ho lottato contro di te, gettando antidoto contro il tuo veleno.

Sebbene i tuoi segni siano ormai scolpiti su di me, ora sono io a stringere il timone della mia vita. Ti ringrazio mia cara vecchia amica, perché il dolore che mi hai inflitto è servito a nutrire la mia forza.
Dunque a malincuore ti annuncio, che adesso, nel mio essere, non c'è più posto per due.

F.


sabato 21 dicembre 2019

Lettera al Paese delle Meraviglie


Cara Anoressia,
Forse rimarrai sorpresa dal mio tono tutt’altro che perentorio e adirato, dato che sai dell’enorme inganno in cui mi hai tratto e della profusione di lacrime che mi hai fatto versare. Ma l’autocontrollo è un’abilità che mi hai insegnato tu, ricordi?
Ho una certa difficoltà a esprimermi con te, poiché fin dall’inizio abbiamo coltivato il nostro rapporto clandestinamente, come pirati legati da un’alleanza per organizzare un ammutinamento contro il capitano. Sussurri, sorrisi falsi, cenni d’intesa dietro lo scaffale di un supermercato. E forse non ti ho mai parlato direttamente perché non ero consapevole della tua presenza nella mia vita, all’inizio.
Il nostro, in realtà, era un mondo a parte. Un mondo dove le inibizioni e i castighi erano all’ordine del giorno, dominato dalla potenza quasi sacra delle tabelle nutrizionali. Un mondo in cui tu avevi creato la terra dove camminare, e io con le mie lacrime avevo formato gli oceani dove avevi intenzione di affogarmi.
A prima vista quel pianeta mi era parso un luogo perfetto, sede di sicurezza, ordine, controllo. Tutto ciò di cui io avevo bisogno. Ma l’euforia del momento mi aveva distratto dal fatto che il pianeta che avrei dovuto raggiungere fosse molto più piccolo della Terra. Talmente piccolo che per accedervi avrei dovuto rimpicciolirmi come Alice quando bevve la pozione che le avrebbe permesso di attraversare la porticina dalla quale era sparito il Bianconiglio.
«Bevimi», dicevi, «Sarai perfetta, vedrai, e finalmente una volta per tutte non sarai ignorata, perché la gente guarderà le tue cosce che non si sfioreranno, le clavicole sporgenti sotto la canottiera e le vertebre che riaffioreranno alla pelle come germogli in primavera. Sarai la migliore, perché sarai forte, fiera e tenace come un leone. Non mi deludere.»
Alla fine del leone avevo solamente la peluria in cui il mio corpo era avvolto, eppure suonava tutto così auspicabile nella mia testa.
Tuttavia, quelle parole non durarono più di quattro mesi. La vera Beatrice non voleva che il suo destino fosse quello di annullarsi in una gabbia conta calorie, anche se quelle sbarre la separavano dalla fatica, dalle responsabilità, dalla sua identità che ormai credeva di aver perso sotto le macerie del disastro. Anche se essere intrappolata in un corpo da bambina la illudeva di poter rimanere tale.
Sei stata il silenzio alle domande della gente che mi chiedeva come mai non mangiassi, il silenzio che mi imponevo di rispettare nel momento in cui tentavo di redimere la mia anima dal crimine di essermi nutrita; il rimprovero più devastante che abbia mai ricevuto, un dito davanti alla bocca per ignorare i miei bisogni primari e distruggere la mia persona come fosse stata un castello di carte in cui Tu eri la Regina di Cuori che mi perseguitava.
Nonostante ciò, ti devo ringraziare, perché se con la nascita una persona parte alla scoperta della vita, con la rinascita si apprende la bellezza in essa racchiusa. Dopotutto le storie degne di essere raccontate necessitano di un’antagonista, altrimenti esse nemmeno esisterebbero, e mentre nelle fiabe la matrigna cattiva è vista esclusivamente con risoluta ostilità, nella vita reale anche le disgrazie peggiori possono lasciarci qualcosa di positivo. Le cicatrici non sono solo simboli di guarigione, ma anche promemoria a tempo indeterminato del nostro coraggio, e ti sarò eternamente grata per esserlo: ora sei solo uno dei tanti libri di fiabe che conserverò negli scaffali del mio passato. Adesso è giunto il momento di scrivere il presente sognando il futuro che desidero vivere oltre la pura e semplice sopravvivenza.
Con affetto,
Beatrice

lunedì 9 dicembre 2019

Sto imparando da mio figlio



Provo a scrivere quello che da tempo vorrei dire alla madri che soffrono di dca. Sono molto titubante nel farlo, perché le parole hanno la capacità di essere carezze e schiaffi allo stesso tempo, che temo di non riuscire nel mio intento. Vorrei lasciare un messaggio delicato ma deciso.
Per tanto tempo mi sono appoggiata sulle spalle di mio figlio per poter trovare un appiglio. È stata una necessità, io ero troppo debole,e quando si è deboli occorre una motivazione davvero valida per poter sopravvivere. Dovevo dare uno scopo alla mia lotta, ma ogni volta che, davanti "all'elenco gerarchico del devo farcela perché..." mettevo lui, la vittoria durava attimi poi la voce tornava maledettamente più forte. Da un po' ho cancellato l'elenco. È stata una presa di posizione difficile, discussa, dolorosa ma guidata.
Ho deciso di provare a vincere per me stessa. Che razza di egoista, ancora mi rimbalza addosso l'eco di certi pensieri. Ma il tempo, ogni giorno di più, mi sta insegnando quanto fosse vile e avaro continuare a fare il contrario. 
Tutte queste parole confuse per dire alle madri che si può imparare a guardarsi nello stesso modo in cui ci vedono i nostri figli, che con la capacità che solo i bambini hanno, ci insegnano che guardare e riuscire a vedere non sono la stessa cosa.

Una carezza a tutte le madri,
da una madre, che sta imparando dal proprio figlio.

Anonimo

domenica 1 dicembre 2019

Combattuta tra due versioni di me

Cara cosa,
non sono mai riuscita a chiamarti con il tuo vero nome perché non mi sono mai sentita abbastanza malata: è proprio questa sensazione di "non essere abbastanza" che mi ha portato a conoscerti e farti entrare nella mia vita.
E' tanto tempo che non ci sentiamo, anche se ogni tanto sento che bussi alla mia porta: ormai ho imparato a riconoscerti e per te non c'è più spazio. Come ho fatto a farmi condizionare per così tanto tempo?
Con te al mio fianco mi sentivo forte, invincibile e tutto sembrava estremamente normale. Avevo preso casa in quelle quattro mura che mi ero costruita da sola e ti avevo portato con me per sentirmi compresa; esistevano solo le regole che mi ero imposta con talmente tanta arroganza da rendemi schiava di te e dei miei stessi pensieri. Eri la più grande sostenitrice della mia personale distruzione.  Dimagrire sembrava essere l'unica soluzione per smettere di sentirmi  un peso inutile e irrisorio nella vita degli altri; così ti ho chiuso dentro di me e ho buttato la chiave nel mare dei pensieri che mi affogavano l'anima.
Mi fidavo di te e di tutti i tuoi consigli, anche se ho sempre mostrato una certa diffidenza.
Mi guardavo allo specchio e mi chiedevo fino a che  punto avrei potuto spingermi; mi domandavo fino a che punto avresti continuato a sostenermi. Non ti sembrava di esagerare un pò?
Ti sei rivelata  un mostro che impersonificava tutte le mie paure, i  ricordi e le esperienze del passato. Guardare le mie ossa era motivo di soddisfazione, così come  salire sulla bilancia e notare la perdita di peso settimana dopo settimana. I  numeri, nonostante abbia sempre odiato la matematica, erano determinanti per la mia felicità. Appuntavo tutte le tappe che raggiungevamo insieme: più il peso calava, più mi sentivo realizzata.  Riuscisti a prendere il soprawento anche sulla mia più grande passione. La pista di pattinaggio non era più un luogo dove esprimere me stessa attraverso leggiadri movimenti sulle note della mia musica preferita, ma un posto dove bruciare calorie (come le strade, i corridoi, le scale e il resto del mondo).
Mi sentivo scissa a metà, in bilico sopra all'oblio, combattuta tra due versioni di me: una che mi implorava di reagire e recuperare la chiave per farti uscire;  l'altra che invece era completamente assuefatta da te.
Ero certa che dovevi andartene. Ho cercato per anni di recuperare quella maledetta chiave, ma ogni volta che ci riuscivo eri sempre pronta a strapparmela di  mano. Poi ho capito che "volere è potere": mi sono resa conto che solo io mi stavo impedendo di vivere,  perché non lo volevo dawero. Non volevo lasciare quei quaranta chili e non volevo tornare ad essere normopeso, perché la nostra "zona comfort" si trovava ad una soglia più bassa, che però era sbagliata. Pensavo di star bene in mezzo ai miei problemi, avevo imparato a conviverci: in realtà ero infelice ma con te mi sentivo a mio agio. D'altronde, l'unica COSA che pensavo di meritare eri proprio tu.
Non mi ricordo come fosse il mondo prima di te, ma da quando ci siamo salutate ne ho scoperto uno tutto nuovo che mi rende davvero felice. Al dì là di quel muro ci sono tantissimi colori e tante sfumature con cui dipingere le mie giornate: il mondo non è grigio come me lo facevi vedere te.
Non smetteranno di esserci i  momenti negativi, ma volevo ringraziarti perché adesso so come  reagire.
So anche che tenterai di trascinarmi di nuovo in  basso, ma dopo aver strisciato insieme a te per molto tempo ho capito che l'importante è trovare sempre la voglia di andare avanti, amandomi.
Non permetterò che la tua voce torni ad urlare.



Noemi