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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

lunedì 27 maggio 2019

Io ho deciso di amarmi.




Caro compagno di esistenza,
ti scrivo queste poche righe per salutarti. Siamo stati insieme per tanti anni e per molteplici ragioni sei stato la mia spalla.
Tu non mi hai abbandonato quando mi sentivo sola ma io ora voglio volare. Preferisco iniziare un nuovo capitolo. Ne sento il bisogno sai?
Voglio lasciare le certezze, le abitudini e tuffarmi in qualcosa di nuovo: "l'amor proprio". Ho sete di vita. Tu sai cosa significa vivere? Non credo, ma ti sono grata per avermi accompagnata fin qui. Mi sentivo al sicuro sapendoti al mio fianco. Ora ti vedo con altri occhi, so che ci sei, che a volte mi aspetti lì, al solito posto, al solito angolo di casa ma non credo che tornerò. E se dovessimo incontrarci sappi che sono cambiata, l'evoluzione è inevitabile per sopravvivere. Sei come il primo amore e quindi ti penso, ci sei, ma scavo dentro di me e trovo la forza per resisterti. Non ti amerò più come prima. Ho altri progetti per la "nuova me", voglio ritornare a scrivere, leggere,creare, sorridere e ridere. Voglio circondarmi di gente e voglio sentirmi sempre nel posto giusto.
Quanto mi hai fatta sentire inadeguata, te lo ricordi? Mi avevi convinta che la diversità fosse un difetto, mi avevi fatto credere che nessuno potesse amare una come me. Ti ho dato ascolto perchè ero piccola, insicura e non sapevo dare valore a tutto quello che la mia vita aveva da offrirmi.
Ora eccomi, mi trovo seduta di fronte ad un pubblico di persone che mi somigliano, mi rivedo in loro. Non mi giudicano sai? Ed è per questo che io le rispetto e sto imparando a rispettarmi. Io ho deciso di amarmi. E tu?

Tatiana


lunedì 20 maggio 2019

Un lungo viaggio


Ora siediti e fai un respiro profondo.
Sei sorpresa, non è vero?
Dopo anni passati a cercare te stessa, eccoti qua.
Troppo presto ti sei trovata faccia a faccia con la crudeltà della vita e così sei corsa via.
Hai avuto paura e sei fuggita in cerca di un barlume di speranza e perché no, anche di qualche risposta.
Questo viaggio si è rivelato più faticoso del previsto a tal punto che hai deciso di toglierti del peso di dosso per viaggiare più leggera.
Pensavi di aver trovato la scorciatoia e, senza riflettere attentamente, hai proseguito per la tua strada.
Quello che dapprima era un peso da 10 è diventato da 20, poi da 30 e così via.
Tu che eri partita alla ricerca della felicità perduta, ti sei trovata davanti a un burrone.
Hai avuto paura.
Questa volta però la paura aveva un aspetto diverso, più subdola e martellante, fatta di numeri e di schemi.
Fatta di privazioni e di digiuno, di bugie e di sofferenza.
Era un continuo scendere a patti con te stessa, convincerti di meritare uno spicchio di mela dopo due giorni con lo stomaco vuoto.
Stavi cercando di tirare fuori tutta la delusione e la rabbia per non avere trovato le risposte che cercavi, per avere imboccato la strada sbagliata.
Il mondo pian piano ha iniziato a perdere colore e tu con esso.
Stanca di tutto, ti sei seduta sul ciglio del burrone a guardare il tempo scorrere lentamente e quel vuoto dentro diventare una voragine.
Sarebbe bastato un leggero soffio di vento a farti perdere l'equilibrio.
Nonostante tutto, sei rimasta lì a lungo, immobile e pensierosa, indecisa se alzarti o lasciarti andare.
La paura si è fatta da parte.
Guardando intorno, ti sei riscoperta nella vastità di quel posto e hai fatto un passo indietro.
Il mondo pian piano ha iniziato a riprendere colore e tu con esso.
Oggi eccoti qua, di ritorno da questo lungo viaggio mentre raccogli i pesi che ti eri lasciata alle spalle.
Non avrai trovato le risposte che speravi, ma hai avuto coraggio di ritornare indietro.
Con l'augurio che questo coraggio non ti abbandoni mai, ti stringo forte.

Giulia


giovedì 16 maggio 2019

A cuore vuoto


"Una persona affamata non sarà mai in grado di giudicare il cibo"

È una frase di una verità disarmante. Dopo tanto tempo che ci priviamo di una cosa così naturale e quotidiana, è conseguenza logica che quando ce la concediamo non riusciamo a vederla per ciò che realmente é. Un'astinenza protratta a lungo non può rendere lucidi nel momento effettivo in cui ritorniamo alla fonte dell'astinenza stessa. E di fame ne abbiamo, anche se non ce ne rendiamo conto o non vogliamo dar ascolto al nostro corpo. E infatti non vogliamo ascoltarlo, lui cerca di parlarci e sa ancora parlare, ma siamo noi a tapparci le orecchie, forse anche perché la nostra mente è già troppo piena di parole e pensieri. 

E come abbiamo fame di cibo, abbiamo fame di emozioni, di dolcezza, di comprensione, arrivando paradossalmente a non sentirne più il bisogno, e quindi a non renderci conto che sia il nostro corpo sia la nostra anima sono affamati. Va da sé che la fame, di qualunque tipo essa sia, non si placa con altra fame, bensì diminuisce con gli stessi elementi che rifuggiamo, ovvero cibo, amore, presenze e parole. Ma non si esaurisce subito, anzi, non penso si esaurisca mai del tutto, e infondo è un bene. Se però la fame diventa troppa, non si riesce subito ad apprezzare e comprendere il vero valore di questi elementi, ma lo si capirà pian piano, un pezzetto alla volta, dandoci il tempo di riabituarci alla vita. L'importante è non avere fretta di riscoprirla, rischiando di fare una sorta di indigestione vitale. Pensate ai sub che dagli abissi profondi devono compensare la pressione per ritornare in superficie, e non possono farlo di botto, in modo veloce e drastico, è la stessa cosa quando noi vogliamo riemergere dai nostri abissi interiori, bisogna farlo poco per volta, altimenti si rischia di peggiorare la situazione. 
Abbiate pazienza e siate comprensivi con voi stessi, accettate e rispettate i momenti no e siate orgogliosi di quelli in cui vi sentite bene, e soprattutto assaporate il cibo, le emozioni, le presenze per quel che sono, arrivando alla loro vera essenza,  perché a "cuore vuoto" non si ragiona. 

Elisa


lunedì 13 maggio 2019

Grazie, Sorè.


A volte pesa tutto,
dalle persone alle parole,
mi pesano persino le tasche vuote.
Pesa il mondo, anche se lo tengo con due mani.
Io con una maglia scolorita
a tirar calci ad un pallone,
tu con protezioni e paradenti
per difenderti il cuore.
Io dieci centimetri più alta di te,
a grandezza di cuore
fidati che vinci te.
I tuoi orari che non cambiano mai,
è arrivata l'ora di cambiarli oramai.
I tuoi occhiali sporchi in giro per casa,
li trovavo persino sul comò.
Il tuo sorriso, però,
ti giuro non l'ho mai visto senza filtri,
per favore resisti
che se cadi adesso porti giù anche me.
Adesso hai meno effetti su di te;
meno luce nei tuoi occhi
che vuoi far sembrare verdi,
i tuoi occhi che mi ricordano il mare
anche se l'azzurro non c'è.
Ricordi le giornate intere,
quelle tra me e te,
a prendere Bucaneve con il mignolo,
o a mangiare quelle caramelle
che zia aveva nella tasca chissà da quando?
Sorè, quando litigavamo e
mantenevi la tua classe e
rispondevi in italiano;
io che mi arrabbiavo e
parlavo in dialetto perché non lo sopportavi.
Sorè, la tua faccia stanca
a mezzanotte meno un quarto,
sopra un libro di fisica, di latino o di filosofia,
mi è rimasta in mente.
Sorè, il tuo sorriso bianco,
i capelli rosa-viola,
le lentiggini sul naso
e gli occhi dal colore indefinito.
Adesso hai meno effetti su di te;
meno luce nei tuoi occhi
che vuoi far sembrare verdi,
i tuoi occhi che mi ricordano il mare
anche se l'azzurro non c'è.


Non è solo una poesia, non è una canzone, non è una pagina di diario; oggi, 11 Maggio 2019, leggo, per caso, di nascosto, le parole che mia sorella aveva fin'ora ben custodito nella sua testa e nel suo quaderno, parole che meritano di arrivare a tutti voi. 
Oggi, 11 Maggio 2019, grazie a queste parole ammetto per la prima volta che 5 anni fa sono entrata in questo vortice che ti travolge e non ti lascia andare; ci sono dentro da 5 lunghi anni e mai mi sono accorta che trascinavo gli altri con me. Ho sempre pensato che ANA le respingesse, le persone, in realtà le porta a cadere con te, non tanto per farti avere un po' di compagnia, ma per rinfacciarti ogni volta che TU sei diversa.
Non sono brava come lei con le parole, ma posso dirvi di non mollare, di andare avanti a testa alta, con le vostre gambe e con le vostre forze, di amarvi, anche se sono io la prima a non farlo, di accorgervi che tutti possiamo sbagliare, di rialzarvi e di continuare ad andare avanti... 
E poi, a volte, di dirlo quel "grazie Sorè", perché solo così sarete ancora più forti.
Grazie, Sorè.

Alessia


sabato 11 maggio 2019

Il nostro tappeto


Le mie vene d’inchiostro sanguinano parole, coltellate sulla carta bianca, scrivono promesse a mezza voce, l’amaro fugace di un ricordo che muore subito in una trama salata. Ti scrivo dall’ordito intricato, dal nostro tappeto…

Imparo a memoria i lineamenti della tua mano, del tuo sguardo incrostato di sogni, speranze. Io e te accoccolate sul tappeto. Cerchiamo di imitare a menadito il passato, come quando ero bambina, come quando ero ancora figlia, vivace e brillante. Come quando eri ancora mamma, bella e severa, fragile e profonda. Come quando i nostri pori, vestiti di pelle d’oca, palpitavano forte. Arrossati. Come quando eravamo vive.
Il tappeto riecheggiava delle nostre voci, dei tuoi schiaffi; imperlato dai miei insulti salati, dal mio dolore che colava a picco, scavando le guance fino al tessuto antico; intrecciandone la trama. Mi ricordo ancora il profumo della sua storia, impigliata ai fili: olezzi di spezie e venditori scaltri dalla pelle scura; le tue gambe agili che danzavano tra i colori marocchini, lo sguardo ammiccante di papà.
Lo vedo ancora, il solco dei tuoi passi nervosi, i tuoi ricci sparsi. Non mi capivi, a volte semplicemente pensavi bastasse socchiudere le palpebre per avere una vita perfetta, idilliaca. Rimanevi così, ad occhi serrati, anche solo per pochi minuti. Assaporavo celata quegli attimi che spillavano verità.
Ho lasciato scorrere gli anni, gustando minuti, ore. Immobile.
Le lancette incavavano cunei rossi in punti ombrosi, chiazzati di scuro. Il mio corpo era l’unico rifugio dai tuoi pensieri invadenti. La tua luce mi fa ancora paura. Quella lama disarmante, impietosa, che denudava ogni imperfezione, ogni angolo incrinato, ferito.
Ti ho visto, sai, provare a leccare i miei squarci, mentre dormivo; le tue nocche premute sul letto, nella trapunta notturna. Piangevi, mamma. In silenzio. E io muta, fingevo un respiro pesante.
Vestiti troppo grandi, i miei contorni sempre più smussati, sempre più aguzzi, freddi. I tuoi timori sempre più sfacciati. Volevo uno spazio, solo un cantuccio segreto, tutto mio. Dove i corpi non devono essere morbidi, pieni di curve. Imbarazzanti. Un rifugio lontano dal tuo amore troppo forte, mamma. Logorante.
Mi sono persa in uno specchio allungato e non sono più tornata.
Il tappeto aveva una chicca di polvere in più. Non sei più entrata nella nostra stanza.
Hai preso un martello un po’ arrugginito; era l’unico in casa. Hai infranto il mio riflesso in milioni di briciole. Mi sono smarrita nei frammenti appuntiti, affilati. Scie rosse sulle braccia, nostalgiche di un respiro tiepido. Il tuo.
Poi, un giorno, ho smesso di sentirti gridare. Ho ipotizzato una tua resa. Forse per una volta, finalmente, appoggiavi la mia scelta.
Ero troppo fragile, come carta velina.
Come cristallo.
Non ero adatta per una cosa così brulicante, travolgente. Non ero fatta per questa vita.
Forse per la prima volta avevi capito che dovevo appassire per smettere di sanguinare o lasciare che la mia cassa toracica aderisse alla pelle, come chiodi.
Sono uscita un attimo, gli occhi esausti di salsedine. Ho scorto qualcosa di diverso sul nostro tappeto. Brividi algidi si annodavano sulla bocca del mio stomaco. Erano i tuoi capelli quelli che fioccavano piano, eri tu, sformata, accasciata su una sedia a rotelle. Erano i tuoi, quegli occhi tracimanti di terrore.
Inaccettabile.
Piena di rabbia ti ho lasciata lì, senza notare le tue labbra seccarsi, assottigliarsi sempre di più. Non mi accorgevo della tua voce. Il silenzio mi si è cucito addosso, una maschera egoista e omertosa.
Ho lasciato traboccare il tuo sguardo in gocce pesanti, piene di rimpianti.
Ti ho lasciata da sola su quel tappeto, mentre le mie ossa dure bruciavano, corrodevano la carne restante.
Ti ho odiata con tutta me stessa, mamma. Ho odiato i palpiti nel mio petto.
Ho incatenato le palpebre, stavolta senza imitarti, senza immaginare altre vite possibili.
Ho annegato le pupille per annaspare nel buio, in un arido niente. Dove non potevi esserci. Dove il tuo amore instancabile non poteva sfiorarmi.
Quando ho districato le ciglia, di scatto, non c’era alcuna differenza. Era davvero tutto nero, senza più sogni, senza i colori, senza voci. Senza più te.
Ho scorto una conchiglia sul tappeto, come quelle che in estate raccoglievamo insieme, sulla spiaggia umida e dorata. Lo sciabordio del mare fresco. Ho pianto al ritmo dei miei battiti perché sapevo.
Avevi preferito rinunciare alla tua forza, al tuo respiro per inchiodarmi con la tua luce vecchia, di supernova.
Hai preferito andare via, senza disturbare. Ho pensato volessi mettermi alla prova, vedere se fossi ancora capace di amare. Amarti.
Ma non c’era più il tuo odore, mamma. Mancavano il tuo ordine impeccabile, il profumo dei trucchi in bagno, l’aroma del caffè-latte a solleticarmi fin sotto le coperte.
Ho urlato.
Ho squarciato quella calma insulsa.
Ho calpestato il nostro tappeto. Trucioli di polvere in una spirale.
Soffocavo, tossivo.
Ho corso fino a non sentire il mio petto sussultare, fino a sanguinare, fino a scorticare pelle, muscoli, ossa, cellule.
Mi sono lasciata cadere, proprio lì, al centro della stanza. Su una macchia del tappeto; mi ricordava i contorni di una tua lacrima. E ho annusato una possibilità, una scintilla.
Ma è sfuggita rapida, in un guizzo. Era un riverbero delle tue ciglia, delle tue iridi. Ne sono sicura.
E così, zaino in spalla, le gambe tremanti, ho inspirato forte. Tutti quei pezzi invisibili, quelle particelle indelebili; il tuo amore.
Ho riscaldato così quella voragine, il mio corpo vuoto che implorava disperatamente pienezza. Me ne sono andata via anch’io, silenziosa. Cercavo i tuoi schizzi di luce che hai sparso per me, mamma.
Sono andata via per ridisegnare un corpo vero, non più imbarazzante.
Per riscrivere il colore roseo della mia pelle, per sprigionare la spuma selvaggia dei nostri ricordi, abbattendo muri, errori, rimpianti. Perfezioni ingannevoli.
Vado via senza mete precise. Ogni giorno un po’ più vera, più viva, più me. Un po’ più te.
Perché l’amore è l’unica cosa che non può morire, che resta.

Tua, Luce.

domenica 5 maggio 2019

Un tuffo verso la libertà


Cara ex allenatrice,
sono Manuel, il ragazzo che fino a qualche anno fa si allenava con te. Spero che tu stia bene.
Ti scrivo perché ho bisogno di parlare con qualcuno e tu sei stata l’ unica persona con cui io sia mai riuscito a confidarmi.
Ricordi cosa ti avevo detto prima di trasferirmi? Ti avevo promesso che avrei dato il massimo tutti i giorni e avrei partecipato alle olimpiadi. Ecco, ora è finito tutto.
Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera dalla Commissione Antidoping in cui mi viene annunciato che sono squalificato per i prossimi due anni e che tutti i risultati ottenuti nella scorsa stagione sono stati annullati. Sapevo che sarebbe successo fin dal giorno in cui hanno fatto dei controlli a sorpresa ma, ingenuamente, continuavo a credere che questo non sarebbe mai accaduto.
So cosa stai pensando ma prima di giudicarmi ti prego di leggere quello che sto per raccontarti.
Quando sono arrivato ad Ostia tutto mi sembrava magnifico: la piscina del Centro Federale è stupenda e mi allenavo insieme a persone che ammiravo. Presto però ho iniziato a pensare di non essere alla loro altezza: gli allenamenti erano molto difficili e, anche se davo sempre il massimo, non sempre riuscivo a star dietro agli altri. Essere il più lento non mi andava giù, sembrava che tutti i miei sforzi fossero inutili. Mi sentivo piccolo e debole e odiavo il mio corpo che non mi permetteva di andare abbastanza velocemente e di sopportare la fatica.
All' inizio mi imposi una dieta iperproteica ma mi sembrava che più i giorni passavano e più i miei muscoli diventassero fiacchi.
Provai a risolvere questo “problema” iscrivendomi in palestra e presto finii per passarci ogni secondo libero, spesso arrivando stanchissimo agli allenamenti in piscina. Gli altri dicevano di vedermi molto più muscoloso ma io non riuscivo a crederci e continuavo ad invidiarli. Detestavo il mio corpo, ai miei occhi si rifiutava di crescere.
Avevo anche molta paura di ingrassare. Volevo diventare forte e muscoloso ma se c'è troppo grasso i muscoli non si vedono. Se mi capitava di mangiare del cibo fuori programma mi sentivo in colpa e contavo quante ore in più avrei dovuto passare in palestra per annullarne gli effetti.
Sognavo di poter mangiare e riposarmi come tutti gli altri ma mi dicevo che loro non avevano bisogno di fare quello che facevo io per avere dei corpi scolpiti mentre per me nemmeno bastava. Ero disperato, non riuscivo a capire cose non andasse bene in me.
Fu così che iniziai a prendere anabolizzanti. Sapevo che era sbagliato ma l’ unica cosa che per me contava era far crescere i muscoli, sarei stato disposto a tutto pur di avere un corpo che riuscivo a ritenere accettabile. Anche a diventare un drogato, perché, anche se non ne vedevo gli effetti, le dosi di cui sentivo di aver bisogno aumentavano sempre di più. Non lo facevo per barare, volevo solo smettere di farmi schifo.
Seguendo l’ illusione di diventare muscoloso ho distrutto il mio sogno: non parteciperò alle olimpiadi.
In questi giorni ho riflettuto molto su quello che è successo e sono giunto alla conclusione che ho un problema che è necessario risolvere. Appendo il costume al chiodo e inizio una nuova battaglia, quella per riprendere in mano la mia vita.
Crescerò, ma non nel senso che ho sempre dato a questa parola: diventerò forte, invincibile, e non avrò bisogno di essere muscoloso per mostrare al mondo il mio valore. 
Mi dispiace aver deluso le vostre aspettative ma probabilmente erano troppo alte per me. Ora è arrivato il momento di pensare a me stesso ed iniziare ad amarmi.
Io sono pronto.
Un abbraccio,
Manuel

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Testo scritto da S.M.