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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

martedì 19 novembre 2019

Da un numERO a un noME



Cara Ilaria,
Oggi è proprio una bella giornata! Così come lo era ieri e lo sarà anche domani.
Sto facendo un po’ di ordine nella memoria e sono uscite fuori da un cassetto queste parole:

“La sofferenza tocca delle corde, le corde più sensibili:
quelle dell’anima.
Quelle corde possono creare dolci melodie.
Alza il volume della tua musica interiore
così potrai accogliere l’amore.”

Questa poesia risale a un po’ di tempo fa, non troppo, ma neanche troppo poco. La scrivesti quando nella tua quotidianità esistevano soltanto cibo, calorie, peso, circonferenze corporee, BMI e corsa. Altro? No, solo cibo, calorie, peso, circonferenze corporee, BMI e corsa.
Tutta la tua vita gravitava intorno a dei numeri: i numeri dei chili sulla bilancia, i numeri delle calorie giornaliere da ingerire ei numeri dei minuti da correre per smaltire quello che avevi mangiato.
Oggi la mia vita gravita intorno a dei numeri: i numeri degli orari dei pullman da prendere per andare all’università, i numeri di telefono degli amici da chiamare per uscire il sabato sera e i numeri dei metri da poter scendere per fare un’immersione subacquea.
Solo oggi, che sia una giornata uggiosa o splendente, posso dire che quella che cercavi dietro a un numero è Ilaria: da un numERO a un noME. Da un solo morso proibito di una mela agli infiniti morsi dati alla sorte che voleva metterti al tappeto.
Ilaria che ama la vita, che ha combattuto e ha vinto.
Oggi non sei più quel numERO.

Alla prossima bella giornata,
a domani.
Ilaria



venerdì 15 novembre 2019

I gusti della vita


Cosa fai se da un momento all'altro la vita non ha più nessun sapore? 
Forse, quando non hai appetito, una piccola parte di te non prova fame nemmeno per la vita. 
Forse, quando i sapori non hanno più gusto, stai provando anche un po' di disgusto per te stesso.
Tramite il gusto, proviamo ad ottenere il piacere che ci sembra di aver perso in altri aspetti della vita, e perdere il gusto per la vita porta a non voler più provare nessun tipo di gusto, compreso quello per se stessi.
Ma com'è normale per ogni essere umano, a volte si ha fame e altre no, a volte si è tremendamente affamati e altre si fa fatica persino ad inghiottire. E quando inghiotti troppe parole non detto, troppe emozioni non provate, è lì che ogni altro aspetto della vita diventa troppo da mandare giù. Ti riempi di vuoti che non permettono agli elementi pieni di fare parte di te, sei vuota e piena allo stesso tempo, sei sazia ed affamata, presente e assente. Ti privi della vita fino al punto di reclamarla a gran voce, uno voce che viene dallo stomaco e dal cuore, e poi non ne faresti più a meno, pensi "com'è bello nutrirsi quando si ha fame", ma arriva il momento in cui ti fermi e pensi "Tutta questa vita è davvero così buona? Piuttosto, io ho ancora fame?
Queste sensazioni vanno e vengono, non si possono sfuggire perché la vita è sia gusto sia disgusto, tutto sta a non generalizzarla e a ricordarsi che meraviglioso gusto può avere. Perché se è vero che il disgusto allontana dalla vita e inevitabilmente da te stesso, è anche vero che è la vita stessa a dare quel sapore vero e autentico che solo essendo te stesso puoi provare. Non si è in vita per essere sempre affamati o per essere sempre sazi, si è in vita per provare a piccoli morsi più gusti possibili, per passare da un gusto ad un altro senza mancanze o eccessi, senza chiedersi se si ha fame o meno ma assaporando ogni singolo momento di vita che arriva.

Elisa

 

domenica 10 novembre 2019

Il mio corpo urla, ma non lo sento.


Caro papà,
stamattina, serafico e leggero, hai ribadito che avresti continuato a rimpinzare la dispensa di biscotti e nutella, che chi non ne ha voglia è libero di non mangiarne e che tu non sei come mamma che crede alle mie stupidaggini.
Non ho potuto urlarti contro, le mie energie le ho spese tutte per salvarmi, per risalire dal baratro in cui la vita mi ha buttato. Non ho potuto urlarti contro, il fiato mi serve perché ancora scalo arrampicandomi ad una parete che un giorno mi è amica e l’altro è così friabile che mi ritrovo giù senza il tempo di accorgermene.
Che brava che sono diventata! Ho imparato a indossare uno scafandro da palombaro per proteggermi da persone, parole, occhi, e stupidaggini. Non le mie, ma le tue.
Ho imparato a lasciare andare; quanto è difficile per chi come me non lascia nulla, e tutto gli sembra sempre poco quando c’è da riempire e affogare il vuoto.
C’è una cosa, però, che credo non lascerò andare mai, papà, ed è il momento preciso in cui non mi è rimasto più nulla. Ed è a questo prezioso momento che mi aggrappo forte tutte le volte che mi sento come mi hai fatta sentire tu questa mattina.

Mi manca l’aria, ho un macigno tra l’esofago e la bocca dello stomaco, respiro velocemente. Sono piena, piena di tutto, tutto quello che va molto oltre il consentito ingerire; eppure non mi sento (piena). Lo sono, ma non lo sento. Il mio corpo parla, urla, ma io non sento, non lo sento.
Sono una musicista e sento tanta musica, sono empatica e sento tanto l’altro, ma sono malata di Binge e non sento più nulla di me e del corpo che mi contiene.
È il 3 dicembre. Sola, nella stazione di Roma Termini, con la bocca secca, la testa vuota e la pancia piena di dolore, nel pieno di un’abbuffata senza precedenti,le mie mani tremano; ho caldo, davanti a me, idealmente, la lista di tutte le cose che devo mangiare prima che venga domani (tanto ormai…), eccitata e disattenta a tutto ciò che c’è intorno, penso che ho toccato il fondo. In una città che non è la mia, dopo aver fatto una cosa bella, mi domando come sia stato possibile arrivare a tanto.
Cinque minuti prima, nell’intento compulsivo di comprare delle patatine, di cui proprio non avevo voglia, mi ero messa in fila per la cassa, facendo per indietreggiare di pochi centimetri (non ricordo perché) ero inciampata in un trolley che una signora aveva stupidamente lasciato dietro di me. Inutili le sue scuse, mi ero scagliata con violenza inveendo contro di lei “È un’idiota! Ma come le salta in mente?!”. Per poi riporre le patatine sullo scaffale scappando via come una ladra.
L’ho sempre detto: io sono dentro e fuori di me allo stesso tempo, se perdo il controllo e faccio cose impulsive c’è una parte di me lucida.
Immobile, silente, ma lucida.
E in quel momento quella fuori di me sapeva bene che ad urlare erano la rabbia e il disgusto verso me stessa e la mia voglia inarrestabile di mangiare senza nemmeno sentire che stavo iniziando a sentirmi male.
Tra la gente ignara, le luci tristi, l’odore nauseabondo dei freni tirati, le gambe bollenti, pruriginose, dilatate nei leggins, la consapevolezza di avere aggiunto un altro ricordo grigio alla mia storia, ho solo voglia di urlare, di essere salvata.
Non ho voglia di mangiare, ma ne ho bisogno.
In una vita senza disturbo dovrebbe essere il contrario.

Ecco papà, se solo riuscissi a sentire per un attimo le orribili sensazioni di quel momento,non avresti bisogno di rimpinzare la dispensa di dolci per togliermi l’amaro di bocca… né dalla vita.

A. L. P. 


sabato 2 novembre 2019

Ti chiedo scusa, Mamma.


Cara mamma,
te lo voglio raccontare, quindi ora spegni tutto e prova ad ascoltare; ho davvero bisogno di raccontarti quello che mi sta accadendo, ho bisogno di raccontarti quello che sta prendendo tutto il mio tempo, ho bisogno di raccontarti quello che mi ha rapito, ho bisogno di raccontarti del mio “disturbo del comportamento alimentare” o almeno così lo chiamano gli altri, “disturbo” o “malattia”, ma io sto bene mamma, io sto bene, me lo ripeto ogni giorno dentro la testa, io non ho nessun problema, disturbo o malattia che sia. Questo lo penso finché la razionalità non si fa un po' spazio dentro la testa, e così ho bisogno di dirtelo, così ho bisogno di raccontartelo:
Il disturbo alimentare è una catena che lega l'anima e costringe il corpo. 
Il disturbo alimentare è la ricerca esasperata di una perfezione.
Il disturbo alimentare è continuare a guardare se stessi con la dolorosa consapevolezza di farlo con occhi non più liberi.
Il disturbo alimentare è fame che ammutoliamo.
Il disturbo alimentare sono le dita ficcate in gola per vomitare. 
Il disturbo alimentare è la faccia immersa nel gabinetto.
Il disturbo alimentare è un grido, muto.
Il disturbo alimentare è non essere più donna.
Il disturbo alimentare è una famiglia disperata, e sola.
Il disturbo alimentare non è vivere, è combattere per morire.
Il disturbo alimentare è mostrare attraverso esso le ferite dell'anima e cercare di spiegare quelle del corpo.
“Disturbo alimentare” non significa solo anoressia o bulimia, non consiste solo nell'abusare o bandire il cibo: esso è sofferenza, autolesionismo, autodistruzione. Esso ti porta ad essere rigida nel giudizio, soprattutto se indirizzato verso te stessa. perdi le emozioni, la tua autostima si raggela, ogni parola dolce, ogni attenzione ti scivola addosso, la dai per scontata, perché nella tua testa c'è solo un pensiero: il peso e le circonferenze del tuo corpo e lo spazio tra le cosce e il viso più scolpito. Un pensiero che ti divora dentro, prende tutto lo spazio che può come l'aria, e come vento spazza via tutto...lasciando solo un incolmabile vuoto.
Il disturbo alimentare è guardarsi allo specchio e odiare ogni parte di noi stessi.
Il disturbo alimentare è la continua voglia di avere il continuo controllo su tutto e sentirsi sconfitti e persi quando questo non succede.
Il disturbo alimentare ti porta ad allontanare tutti.
Io ti chiedo scusa mamma, ti chiedo scusa, so che tu non hai mai voluto tutto questo, so che tu te ne fai una colpa. So che stai cercando le duemila motivazioni che mi hanno portata qui, ma ora basta, mamma, basta; io voglio solo la tua felicità, voglio rivedere il tuo sorriso.
Scusa davvero, e ti chiedo scusa anche da parte sua.

C.