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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

venerdì 30 dicembre 2016

La mancanza


Cercando di riempire il vuoto di queste "feste", mi sono ritrovata a riflettere su quanto la malattia abbia reso POVERO e MANCANTE il mio universo: in quest'universo mancano relazioni, attenzioni, svaghi, sicurezza…manca, soprattutto, Amore. Ed è proprio questa mancanza a rendere il vuoto 'appetibile', a rendere l'universo della malattia desiderabile: senza relazioni niente tradimenti, senza attenzioni niente preoccupazioni, senza svaghi niente distrazioni, senza Amore niente dolore. Stare nella malattia è allora rinunciare ad avere, temere di avere (un corpo, in primis) e godere, invece, di tutto ciò che è "senza". E' godere del 'niente'; godere, appunto. Ma quest'universo misero non può bastare: come può soltanto questo bastare ad un essere umano (di per sé 'mancante', perché ha dei bisogni che chiedono di essere soddisfatti)?
Credo che 'uscire dalla gabbia' della malattia, implichi non tanto rifiutare la mancanza in quanto insufficienza - perché sentire la mancanza è avvertire anche un bisogno ("mi manca l'aria" = ho bisogno di aria, per respirare, per vivere) o un desiderio ("mi manca la mia gattina" = desidero la compagnia della mia gattina) - ma guardare alla mancanza come ad una ricchezza, UNA RISORSA.
Forse ciascuna di noi dovrebbe smettere di pensare a quello che non è o che potrebbe essere, cioè quello che le manca, per mimetizzarsi, per con-formarsi (cioè perdere forma, essere senza forma propria) e con-fondersi nella massa (cioè perdere individualità, senza distinzione, senza ordine). E dovrebbe sforzarsi, invece, di cercare quello che è, chi è, trovare il coraggio (perché si, credo sia una scelta che comporta rischi e che quindi richiede coraggio) di portarlo allo luce, di ascoltarlo, di interrogarlo, e di viverlo a fondo. Sia esso dolore o gioia, sofferenza o piacere, sarà utile in ogni caso, perché aiuterà a crescere. Portare alla luce quel dolore, o quella gioia, potrebbe forse valere addirittura la vita. Lasciar parlare la "mancanza che è" per capire di cosa ha più bisogno/desiderio quell'universo mancante: FARE, cioè, DI QUELLA MANCANZA LA PROPRIA RICCHEZZA.
Forse il tanto desiderato 'equilibrio' sta proprio nell'imparare un po' alla volta a stare anche nei propri squilibri senza lasciarsi travolgere o sconvolgere da essi? Sta forse nel saper conciliare gli estremi opposti (senza/troppo, tutto/nulla) in una "giusta" misura - la propria misura - che sappia soddisfare quella mancanza che è bisogno ("senza..." non si può vivere) o desiderio ("senza..." c'è insoddisfazione), e lasciare andare invece quella mancanza che crea dipendenza ("senza..." c'è crisi d'astinenza). Credo che ognuna di noi potrà trovare 'la propria misura', quell'equilibrio che le permetterà di sentirsi libera di essere la persona che ha sempre desiderato essere, soltanto se saprà lasciare andare la paura, se saprà lasciarsi andare alla paura, che la trattiene tra le grinfie dei mostri che regnano in quest'universo 'mancante', l'universo della malattia. Soltanto allora, sarà il giorno in cui il mondo potrà finalmente urlare "Bentornata!", soltanto allora si potrà finalmente tornare a respirare a pieni polmoni la vita. E per questo lottare ha un senso, perché io quel giorno non voglio farmi trovare impreparata: voglio poter accogliere Sandra a braccia aperte e darle le attenzioni, la sicurezza e tutto l'Amore di cui sente la mancanza.

Sandra

domenica 25 dicembre 2016

Natale...Ti chiedo scusa


Il Natale ha il potere di avvicinarti ancora di più alle tue emozioni. Anche se può essere una festa che non vuoi festeggiare, non puoi comunque non sentirne la presenza. Sembra quasi che il Natale voglia costringerti a guardarti dentro. Oggi, 25 dicembre, ho un voglia pazzesca di starmene da sola in casa. Fare un pranzo frugale e poi buttarmi a dormire...così, metterei sicuramente a tacere le emozioni che sento che stanno per scatenarsi dentro di me. Questo è il primo Natale che vivo senza la presenza di mio padre. Provo un profondo rammarico per non essere mai riuscita a godermi questa festa insieme a lui. C'era sempre un qualcosa che mi faceva stare sulla difensiva. Non potevo dimostrargli di volergli bene perché la cosa mi imbarazzava. Era più facile per me rivolgermi a lui in modo scortese piuttosto che in maniera amorevole e gentile. Ora... Vorrei poter tornare indietro per dirgli apertamente che dietro alla mia aggressività si celava la mia incapacità di dimostrargli il mio amore. Per anni ho cercato invano di attirare la sua attenzione...ho anche smesso di mangiare per vedere se lui si accorgesse finalmente di me, finendo poi con l'imparare a gestire ogni mio disagio attraverso il rifiuto e/o controllo del cibo. Questo mi faceva sentire forte. ..Invincibile... ma soprattutto, mi faceva sentire inattaccabile. Oggi, che sono guarita dal mio disturbo del comportamento alimentare, provo affetto per quella parte di me che per anni è stata malata. Quanti Natale ho trascorso a lottare contro la voragine di angoscia che mi divorava dentro. Quanta rabbia e odio ho provato e rigettato su mio padre. Ho sempre dato la colpa a lui di tutto il mio dolore. Lui, in quanto padre, avrebbe dovuto proteggermi, guidarmi, abbracciarmi, farmi sentire che c'era. Invece...invece, nemmeno si degnava di reagire davanti alla mia aggressività. Menefreghista!!!!!!....E io, davanti a questo muro di indifferenza, mi percepivo e sentivo di non esistere....ero completamente invisibile. Nessuno mi rimandava l'esperienza che io c'ero, che esistevo, che ero importante. Ora che sto scrivendo, mi viene naturale allargare la mia macchina da cinepresa percettiva e vedo farsi protagonista altri elementi che allora non erano alla portata della mia visione, in quanto ero troppo concentrata su me stessa. Ecco allora porsi davanti a me l'immagine di mio padre. Ci sono io che gli sto urlando la mia rabbia e lui, lui che fa? Lo vedo chiudersi in un mutismo innaturale. I suoi occhi, ( che io urlante vado disperatamente cercando) sono abbassati. Non per sfuggire da me, ma per nascondere il dolore che vi si sta celando dietro. Ciò che mi colpisce ora come un pugno allo stomaco è vedere non più solo la mia di sofferenza, ma anche quella impotente di mio padre.

Ora che i miei occhi non vedono più attraverso le lenti deformanti della malattia, ho visto e riconosciuto il dolore di mio padre. Non è mai stato indifferenza, menefreghismo, assenza. Tutt'altro. Entrambi eravamo incapaci di comunicare. Anzi, a dire il vero, io ho (inconsciamente) provocato mio padre. Il mio intento era costruire sempre più muri fra noi due per vedere se lui si fosse impegnato a lottare per abbatterli. Perché questo avrebbe significato che mi voleva bene. E più vedevo che non reagiva, più saliva il dolore e la rabbia in me..in un gioco ossessivo, perverso e autodistruttivo che mi ha portato a non essere più capace di comunicare con mio padre attraverso il linguaggio dell'amore. Io ero la figlia, che doveva essere protetta, e lui il genitore, l'adulto, che doveva proteggermi. Pensiamo spesso che i genitori debbano essere perfetti; debbano capire all'istante quello che nascondiamo dentro; debbano circondarci di amore ( ma non troppo, perché se no ci sentiamo soffocare); debbano saperci guidare, sostenere, confortare, assicurarci una vita serena, sorreggerci quando cadiamo e spronarci quando tentenniamo......Ma, mi chiedo, ho mai permesso a mio padre di fare tutto questo? Sinceramente... no....Sin da piccola ( avrò avuto 6/7 anni), io lo preferivo a mio zio. Mio zio era per me il modello del padre perfetto. La sua famiglia, mia zia e le mie due cugine, erano il modello della famiglia perfetta. Quando lo andavo a trovare, mi nutrivo di questo clima di amore che si respirava a casa sua. Mio zio giocava spesso con le mie cugine, coinvolgendo anche me. Alla sera, spesso si metteva al pianoforte a suonare e noi cantavamo insieme a lui.Gli abbracci non si elemosinavano, ma arrivavano inaspettatamente. Quanta felicità c'era in questi gesti. Poi tornavo a casa mia, e subito mi penetrava il gelo. Percepivo all'istante la differenza, e ricordo quanto piangessi per non avere anche io un padre come quello delle mie cugine. È qui, in questo momento che è nata in me la rabbia verso mio padre. È da lì che ho cominciato a indirizzare verso di lui una guerra fatta di ostilità, pretese, urla, rimproveri, odio.....E prepotentemente si è costruita in me la convinzione che se non potevo avere il padre e la famiglia perfetta, sarei diventata allora "Io" perfetta. Ed è stato quasi automatico fare mio il pensiero che se avessi controllato il cibo, sarei stata capace di controllare ogni cosa. E allo stesso modo, se avessi dimostrato di essere perfetta in tutto ciò che facevo...se avessi costruito un'immagine di me perfetta....ecco che allora potevo essere vista e amata. Convinta che questo controllo mi avrebbe difesa da ogni cosa, mi sono creata la mia realtà, come dicevo io, sicura che niente avrebbe più potuto ferirmi. Come mi sono illusa!!!!!!!! Ci sono voluti anni di profondo lavoro su me stessa per capire di quanta incomprensione e sofferenza avevo avvolto tutta quanta la mia vita.

Oggi, 25 dicembre, mio padre non c'è più. Non c'è più per potergli manifestare il mio amore. Non c'è più per chiedergli scusa. Non c'è più per poterlo abbracciare. Non c'è più........ Non so se ci sia un altra dimensione o quant'altro in cui lui può sentirmi, vedermi, essermi vicino. Questo non lo so....ma io oggi, 25 dicembre, papà, ti chiedo scusa per la sofferenza che ti ho causato.... Ti chiedo scusa per non essere stata capace di dirti quanto ti voglio bene.... Ti chiedo scusa per non averti mai permesso di essere il padre che magari avresti voluto essere per me......In tutto questo, mio caro papà, sono consapevole che tutto ciò che c'è stato tra noi due non è stato invano perché mi ha reso la donna che sono oggi. E lo devo anche a te. Al tuo non avermi mai abbandonato nonostante il mio continuo allontanarti col mio tenerti sempre a distanza. Grazie papà. Un immenso grazie.  Ti voglio bene!!!!!!  E ti abbraccio!!!!!!!!

Francesca 

giovedì 22 dicembre 2016

Paura è/e cambiamento

 
“HO PAURA DEL CAMBIAMENTO.” 


Quante volte con queste parole ho giustificato il mio malessere...è sempre sembrata una spiegazione plausibile alle mie resistenze nel percorso verso la guarigione, verso il cambiamento, appunto. Ma la paura del cambiamento non è una scusa, non è una semplice giustificazione dietro cui nascondersi, anzi. La paura paralizza, è vero, può essere di grande ostacolo al cambiamento stesso, perché porta a perdersi nel vuoto. La paura si nutre dei "se...", di infiniti “se…”, mentre i fatti si scrivono con i "ma...". E allora, per accettare il cambiamento bisogna prima di tutto accettare la paura, ascoltarla, sentirla. Per liberarsi dal peso della paura, bisogna trovare il coraggio di affrontarla, perché più ci si ostina ad ignorarla, più insistentemente lei continua a controbattere, procede a grandi passi. Il cambiamento, invece, è lento, timido, ma accade di continuo.

Il cambiamento succede, accade, ogni giorno, perché è la natura della vita stessa...il cambiamento stesso E’ VITA! E' vita perché è una continua scoperta, ed è proprio nel piacere legato alla scoperta che sta il suo più grande e prezioso potenziale. Continuamente esposti ad esso, ci illudiamo di avere il potere di opporgli resistenza, di mettergli un freno o, viceversa, di premere l’acceleratore, quando non è il momento opportuno: troppo presto, o troppo tardi… E invece, affinché sia possibile, il cambiamento deve essere spontaneo, libero dalla paura. Allora, dovremmo forse imparare ad accoglierlo, a farlo 'nostro', quando arriva, e ad attenderlo, con tanta pazienza, quando invece indugia a manifestarsi. 

Il cambiamento succede, accade, ogni giorno, perché è nella natura umana di cambiare, per far fronte alle circostanze esterne, mutevoli, spesso imprevedibili. E (relativamente) poco importa se le si affronta con gli occhi gonfi di lacrime, con un peso sul cuore o con il sorriso stampato in volto. IMPORTA AFFRONTARLE. Perché in ogni caso, da questo scontro si uscirà comunque vittoriosi, comunque un po' più forti: forti dell’aver trovato il coraggio di tenere testa alla paura per andare incontro al cambiamento. Quanti, invece, nemmeno provano a schierarsi: si lasciano vincere dalla paura, ne seguono passivamente le direttive; hanno perso in partenza. Quante volte non si riesce ad ammettere di avere paura, per non sentirsi, o mostrarsi, fragili… Ma la fragilità non sta forse, invece, nel non saper ammettere, accettare le proprie paure, nel non saperle accogliere?



Nel caso specifico dei disturbi alimentari, non credo che la paura del cambiamento sia strettamente legata solo all'idea di un corpo che cambia, ad una forma che inevitabilmente muta nel tempo: la paura del cambiamento è soprattutto paura di non riconoscersi più, di perdere la propria identità nel momento in cui la forma cambia e di non riuscire più a ritrovarla, cioè ad identificarsi, nella nuova forma. E' il timore di non riuscire a vestire bene i panni diversi che le mutevoli circostanze quotidiane ci chiedono di indossare di volta in volta, di situazione in situazione. Identificarsi è riuscire a far coincidere l’identità con la forma in divenire, con la forma del cambiamento, è mettere e mantenere in comunicazione la nostra identità con tutto ciò che le sta intorno, un involucro - fatto di persone, contatti, ambienti, sensazioni - che cambia di continuo, e che perciò può spaventare. Da quando ho iniziato a coltivare la mia speranza in un cambiamento possibile, io non ho più paura di ammettere la mia paura, perché ho capito che sentire, vivere, la paura è in realtà già la prova di un cambiamento in atto, di una reazione in atto, una reazione salvifica: una reazione alla paura stessa, che spinge ad agire in difesa e in nome del proprio desiderio. E solo quando inizi ad ascoltarla e ad interrogarla quella paura, ti rendi conto che il motore della reazione sei proprio tu, tu stessa. Quando ci sei dentro, totalmente immersa nel vortice della paura, non sei in grado di valutare nulla lucidamente: vivi momenti interminabili in cui, anzi, non puoi nemmeno concederti di dire "ho paura"; tutto è buio, la paura prende il sopravvento su qualunque tuo pensiero e azione. Come se indossassi un paio di paraocchi, vedi soltanto ciò che è già stato disegnato, il percorso che è già stato tracciato. Quel percorso si, è già stato scritto, e lo si potrà rileggere, tante volte, ogni volta con occhi diversi, con una consapevolezza diversa, man mano che passerà il tempo. Ma tutto ciò che deve venire, ancora no, non è già scritto: lo puoi immaginare, fantasticare, ma per crearlo, per renderlo presente, vivo, reale, c’è bisogno della tua mano, del tuo contributo e del tuo impegno. C’è un foglio bianco da riempire, con i colori che più ti aggradano, puoi scegliere - sei LIBERA di scegliere - quelli che più piacciono a te, perché è tuo, è il tuo disegno, ci puoi mettere LA TUA FIRMA. E potrai farne un capolavoro…


Sandra

venerdì 16 dicembre 2016

Il coraggio di cambiare

Sono ancora viva e non mi sembra possibile, ero convinta che sarei svanita e, forse, per un periodo è stata la cosa che più ho voluto. Per tanto tempo mi sono guardata e mi sono odiata, con tutta la forza che avevo, le mie ossessioni e le mie insicurezze mi hanno fatto da mantello per quando pioveva e anche per quando, nel cielo, c’era il sole. Ho imposto a chi mi voleva bene di guardarmi morire in quella trincea quando in realtà avrei voluto essere leggera, come una carezza, colorata, come un pavone, veloce, come gli aquiloni che si muovono seguendo il vento. Ero un adolescente che cercava un colpevole, qualcuno da accusare per quel dolore che sentivo dappertutto e che mi toglieva il respiro. Nessuno mi avrebbe mai amato tanto da convincermi che ne valeva la pena, pensavo. Nessuno mi farà mai cambiare idea, pensavo..ma chi non sopravvive a se stesso, dove va?  Un giorno ricevetti una mail di un caro amico che da pochi anni ho ritrovato e che solo oggi, che sto “bene” (e mettiamolo fra virgolette), riesco davvero a capire:
 “Cara clod, volevo dirti che quello che è successo ha colto molti di noi (credo tutti) impreparati. Chiarisco che lo dico senza voler giustificare né difendere nessuno, davvero, tanto meno me stesso. Non è facile capire come comportarsi, come agire; ognuno ha avuto ed ha reazioni diverse, la mia è stata di dubbio, di interrogativi e di incertezze sul da farsi, allo stesso modo altri hanno avuto altre reazioni. Ti assicuro, ti ripeto, tutti, hanno sempre provato partecipazione per quello che succedeva. Nel mio caso, voglio che tu lo sappia, il mio silenzio non è stato un silenzio indifferente, su questo, ti prego di credermi. Più in generale, dunque, sii prudente nel giudicare chi ti sta intorno, perché non è stato semplice (ovviamente non ti sto dando nessuna colpa, mi raccomando). Con ciò spero non penserai: “ma guarda questo, viene a parlarmi dicendomi di essere forte un’ altra volta” … ecco, spero di non aver fatto un altro errore. E ti ringrazio, dandomi la tua tesina mi hai liberato dalle catene del silenzio. Mi ha reso inquieto, di questi tempi, la paura di non aver colto dei tuoi messaggi, in particolare in due occasioni, scusami se quelli erano messaggi ed io, non ho saputo capirli. Rileggendo quello che scrivo sembra alla fine che io pensi di essere quello importante e non tu, il tuo dolore, la tua angoscia. Mi giustifico dicendo che sono tutti pensieri riferiti a te, claudia, che ti ho pensato tanto in questi mesi, che mi sono sentito tanto in colpa di non poterti aiutare. Ti saluto con una frase di Enzo Biagi: “ogni giorno è una sorpresa e una meraviglia”, ricordalo, clod, perché mi pare ci sia del vero.”
Matteo
Credo che questo scritto possa essere utile per tutti quei ragazzi e quelle ragazze che nel profondo dolore del binge, della bulimia e dell’anoressia, si sentono soli. Non lo siete, come non lo ero io. Spesso siamo noi a rinchiuderci e neanche ce ne accorgiamo. Io avevo smesso di dare agli altri delle possibilità, ero severa … beh , forse questo lo sono ancora un pochino :’). Avevo 15 anni quando ho cominciato a stare male, 22 quando ho cominciato a cambiare lato della strada..8 anni di sofferenze impossibili da spiegare. Oggi di anni ne ho 25 e quel male lo tengo ben presente nella mia mente ogni giorno per non andare a cercarlo di nuovo, perché se ne resti li, per non tornare indietro, mai più. - Soffrire non serve a niente-, scriveva Pavese.. ma secondo me non è vero. Che poi non vuol dire che per nobiltà dobbiamo soffrire tutta la vita, no. L’infelicità non dona a nessuno. Ma se il soffrire passa, l’aver sofferto ti cambia per sempre: io vedo le cose in modo diverso, vedo più in fondo, per me, un fiore, non è soltanto un fiore. Vorrei avere le parole per dire che la sofferenza, qualsiasi sofferenza, per quanto possa essere devastante, prima o poi ci lascia liberi. Qualche volta ricevo email e messaggi da amiche, care amiche, che non vedo da tanto e che iniziano con: “mi hanno detto che stai bene, e come fai? Come hai fatto?” e davvero, la risposta più sincera che posso dare è che sono andata avanti, anche quando non ce la facevo più, ho continuato a camminare.
Non lasciate che la speranza vi abbandoni, abbiate il coraggio di cambiare, non vi vergognate di tutto il  vostro dolore, non sentitevi fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto. Io non credo di avercele le parole giuste, ma non penso ci sia nulla di più potente delle testimonianze. Lasciate che ve lo dica, perché io ho sempre avuto bisogno di sentirmelo dire: NON MERITATE NIENTE DÌ TUTTO QUESTO.
Vi lascio con una frase che ho letto da qualche parte, ma oramai non ricordo più dove: “libertà è poter dire che, proprio no, non è un destino l’ingiustizia e non è un recinto la nostra vita.”


Con affetto e speranza,
Claudia 

lunedì 12 dicembre 2016

Che cosa è la paura?

Quante volte ti capita di pensare che la vita degli altri è sempre più interessante della tua? Che gli altri sono migliori di te? Che gli altri hanno qualità e capacità che tu non hai? Che gli altri sono più belli e felici di te? ....E la lista potrebbe continuare all'infinito vero? È come se una parte di te stesse continuamente con il dito puntato contro. Pronta a coglierti in errore. Pronta a evidenziare quanto sei lontana dall'obiettivo prefissato. Pronta a incolparti per non essere stata capace di...
Ma, che cosa c'è dietro a questo perenne dito puntato contro? Perché sembra quasi divertirsi a pungolarci così tanto? Forse, è qui che sbagliamo. Non penso ci sia divertimento nel darsi addosso, quanto una nostra incapacità a volerci bene. Viviamo con la costante paura di non essere mai all'altezza di.., quando in realtà noi già siamo.
Perché continuiamo questo infinito paragonarci e confrontarci con gli altri? Che cosa andiamo cercando?
L'altro giorno ho letto per caso una massima: "un fiore non si preoccupa di sbocciare più profumato o più colorato del fiore che gli sta accanto. Semplicemente, il fiore sboccia. E una volta sbocciato, si gode il sole, il vento, l'acqua, la terra. Senza chiedersi alcunché ".
Forse, anche noi dovremmo fare come il fiore. Dovremmo abbandonare tutte le idee malsane di non essere mai abbastanza o di non meritare amore, attenzione, affetto. Se ci pensiamo, è veramente assurdo il male che ci causiamo con pensieri auto le-sionisti e distruttivi.  Certo, a parole è semplice, ma coi fatti poi...Coi fatti finiamo che ci ammaliamo. In questa cornice di perfezionismo estremo dove regna sovrano il controllo e il dimostrare di valere, ecco che ci lasciamo andare a comportamenti malati; e i disturbi del comportamento alimentare sono uno di questi. Perché il cibo, il cibo è facile da maneggiare. Il cibo è lì, sempre disponibile. E, cosa da non sottovalutare, il cibo si fa fare tutto quello che si vuole: si lascia divorare, vomitare, respingere, rifiutare....senza mai dire nulla...senza mai chiedere nulla... È così facile usare il cibo per scaricare la tempesta di emozioni, ansie, paure che abitano in noi.  Ma così, non funziona. Perché una volta cadute nei meccanismi del comportamento dipendente, perdiamo la nostra vera essenza: la nostra unicità, il nostro essere semplicemente fiore.
Le emozioni sono difficili da gestire, soprattutto se accompagnate da paure ancora più grandi  dell'emozione stessa. Ma ognuno di noi è fatto di emozioni. Non possiamo continuare a respingerle, quanto accoglierle. Accoglierle così, naturalmente. Ma.....fa paura vero?
E di cosa è fatta questa paura?
Ha una forma?
Ha una voce? Sta dicendo qualcosa?
Emana calore? O è invece fredda?
Che consistenza ha? È dura? O è morbida?
È un'immagine? E che immagine è ?
Ha dei colori? E quali sono questi colori?
Vive da qualche parte? E dove vive? Come è l'ambiente in cui sta?........

Potrei continuare all'infinito in questo viaggio esplorativo della paura.
Quanto sgomento avevo la prima volta che ho provato a dare una risposta a queste domande che mi venivano poste. Li, occhi chiusi a cercare di vedere, sentire, immaginare. Domande che all'inizio mi parevano così sciocche e prive di senso, come la persona che me le stava facendo. ( eh sì, la mia parte iper critica e giudicante doveva pur dire qualcosa!!!) E invece...invece è stato di una bellezza inimmaginabile. Mi stavo avventurando dentro ai miei pensieri, al mio modo di vedere e sentire, al mio modo di percepire la realtà...e tutto avveniva in maniera così naturale e spontaneo. Non erano per niente sciocche quelle domande; come non lo sono state le mie relative risposte. Il mio visualizzare immagini, colori, persone, forme, luoghi...a volte stupendi e svolte terrificanti...Ma ogni volta che riaprivo gli occhi....la sensazione che provavo era di un senso di grande profondità. Quella profondità di cui ognuno di noi ne è il personale custode. Quanti muri invece vi costruiamo intorno, e quante porte blindate per sigillarla dentro questa nostra profondità, che è poi la nostra più grande risorsa. E tutto, tutto per tenere lontano una sola emozione:  la PAURA.
Dietro alla paura finiamo con il creare interamente la nostra vita. Attraverso un gioco di specchi in cui alla fine, come in un labirinto, non comprendiamo e non vediamo più la porta che ci conduce fuori dalla paura stessa.
Beh...io, come ho scritto prima, ho trovato il mio metodo per trovare quella porta. Semplicemente (e non banalmente) mi siedo....chiudo gli occhi.....e osservo di cosa è fatta la mia paura....lasciandola libera di manifestarsi. Gli specchi, ad uno ad uno, spariscono per lasciare il posto alla porta tanto cercata....la apro....ed ecco la vita farsi improvvisamente spazio davanti a me....ecco che il fiore comincia a sbocciare ed è lì, li pronto a godersi lo spettacolo della vita che è davanti e dentro di se'.
Ciò che spero un giorno e' di riuscire ad insegnare ad altri ad avventurarsi nel profondo viaggio dentro se stessi. Un viaggio non semplice. Un viaggio che richiede molta presenza, sia da parte di chi l'affronta, sia da parte di chi accompagna. Ma proprio perché ho vissuto in prima persona l'esperienza di cosa si prova ad essere "riconosciuti", " capiti" ed "accompagnati" che desidero ora "riconoscere", "capire" ed "accompagnare" chi mi chiede aiuto per incamminarsi in questo viaggio.

Francesca

sabato 3 dicembre 2016

La Bestia

Ci sono giorni in cui avresti voglia di non pensare a nulla. Giorni in cui vorresti annullarti. Non sentire. Non ascoltare. Non vedere il dolore degli altri. Un dolore a te ben noto. Oggi è uno di questi giorni. In questo momento mi sento molto egoista. Avrei voglia di andarmene via e dire :
" Basta! Io questo inferno l'ho già vissuto. E non voglio più averci nulla a che fare. La mia lotta contro l'anoressia e la bulimia l'ho vinta. Ora mi godo il mio essere libera! "
La bestia. La vedo...eccola lì...beffarda...che mi guarda e sogghigna : " Ciao Francesca. Ti ricordi di me? Ti ricordi quanti anni siamo state insieme? Io e te, bella coppia eh? Poi hai deciso di mandarmi via. Ma io sono qui...Guardami!!! Credevi che allontanandomi definitivamente da te mi avresti distrutto? Piccola illusa!!!!!! No....Sono qui...Certo, non faccio più parte delle tue giornate....Ma guarda, guarda quante persone ancora mi cercano, mi amano, non possono fare a meno di me...Guarda come sono desiderata e venerata... Piccola sciocca a credere che senza di te io non esistessi più "
Io rimango lì..La guardo....La ascolto...La bestia è così orgogliosa della dipendenza e sofferenza  che crea intorno a se'. Davanti a questo suo godimento, tutto a un tratto, sento crescere in me ancor di più il desiderio di non mollare; di non chiudere nuovamente quella porta dietro la quale c'è lei, la bestia. E rimango.  Rimango perché voglio dare la mia testimonianza. Lei esiste. Lei c'è. Lei si nutre dei nostri pensieri, del nostro sorriso, della nostra gioia. Lei respira la nostra linfa vitale e ci riduce a dei miseri succubi vegetali autolesionisti e super dipendenti......Ma come non te l'ho data vinta una volta, mia cara bestia, continuerò a non dartela vinta neanche ora. Vorresti che tacessi. Vorresti che ti dimenticassi. Vorresti che chiudessi la porta, così potresti continuare il tuo dissacrante gioco. Ma io non ci sto. Io voglio smascherarti. Voglio testimoniarti contro. E a chi dice che sarai sempre tu a vincere, perché una volta caduti nei tuoi tentacoli non se ne esce, no!!!! Io starò lì, risoluta a dire e confermare che di te ci si può liberare. Non da soli... No....Questo è impossibile perché liberare la mente dalla tua presenza richiede un aiuto esterno perché se restiamo soli con te, tu ti diverti un sacco a confonderci, a dilaniarci, a renderci sempre più bisognosi e dipendenti . Ma se iniziamo a stare insieme agli altri, tutto diventa più facile. E io resto qui, per essere una piccola parte di questo "insieme". Tu mi conosci, cara bestia. Sai quante volte ho gettato la spugna e ti ho detto: " Ok, sei più forte tu. Ritorno da te".... Ma poi, poi ho ricominciato a lottare contro di te e alla fine, ho vinto io.....Tu resta pure lì. Le tue fauci spalancate, il tuo ghigno, i tuoi occhi rossi malvagi non mi spaventano più. Né tanto meno non hai più il potere di attrarmi a te. Ora ne sono fuori....E anche se so che è ben poca cosa, non volterò le spalle a coloro che sono rimasti intrappolati nella tua ragnatela. In questo momento, allontanarmi da te chiudendo quella porta sarebbe la sconfitta più grande perché renderebbe inutile e vano il mio essere ritornata libera. Quindi resta pure lì....continua a sogghignare... Io non mollo...Io resto qui, qui per dire che:
" Dall'anoressia e bulimia si può guarire"
" Si può ritornare libere".
Spesso sento parlare di cronicità della malattia. Cronicità lo è il non chiedere aiuto. Lo è il rifiutare la mano dell'altro. La bestia gode nel vederci isolati perché sa che se rimaniamo soli, può continuare a nutrirsi di noi. Lei si nasconde nella nostra mente ed è pronta sferrare i suoi attacchi a chiunque cerchi di spodestarla, pronta ad allungare e stringere ancora di più i suoi tentacoli attorno a noi. Quando ci vede cadere e ritornare da lei, lei gioisce perché spera di rimpossessarsi di noi completamente. Non lasciamogliela più tutta questa libertà. Cerchiamo di non rimanere isolati. Ciò che ci fa stare male, abbiamo il coraggio di comunicarlo. Tiriamo fuori ciò che ci spaventa, ciò che ci emoziona troppo, ciò che non riusciamo a comprendere, ad affrontare, ad accogliere... C'è solo una cosa da fare contro questa malattia: " Chiedere aiuto!" , per non essere lasciati soli.

Io, come ho scritto prima, non mollo. Ne sono uscita da questa malattia. Proprio per questo voglio dare un valore e un senso a questo mio lungo percorso...e quel valore e quel senso si racchiude in tre semplici parole: " GUARIRE È POSSIBILE!!!!!"

Francesca

lunedì 21 novembre 2016

Lettera al mio dottore

L'altro giorno mi sono ritrovata ad ascoltare una breve discussione tra sondino si e sondino no; ovvero, quanto puo' essere utile e indiscutibile il mettere il sondino in quei casi in cui la paziente interessata sta in quel momento rischiando la vita. Il ritornare coi ricordi al mio passato è stato inevitabile. Io ho un passato di anoressia e bulimia. Quando mi sono ammalata, nemmeno si conosceva la malattia. Figurarsi parlare di sondino e alimentazione forzata.
Dal giorno che ho assistito alla discussione, sono stati molti i momenti della giornata che ho continuato e ancora continuo a pensare a questa storia del sondino. Ma è' mai possibile che una ragazza in cura per anoressia arrivi a questo punto? E, ancora una volta, l'attenzione, è mai possibile che sia sempre e solamente diretta al corpo? E l'anima? L'anima, da cui nasce tutta la malattia, dove è? Cosa sta facendo in questo momento? Quale è la sua sofferenza? Di cosa ha bisogno?
Da qui, è nato il mio desiderio, quello di Francesca quando ancora era malata, di scrivere una lettera al mio dottore.

" Ciao dottore, come stai? Siamo qui nel tuo studio. Lo vedo. Siamo simili per certi versi, sai? Guarda qui come tutto è in perfetto ordine. Niente è fuori posto. E guarda i muri: quanti attestati, diploma, lauree...Eh sì...L'unica a stonare qui dentro sono io vero? Io, con questo peso che non corrisponde ai parametri perfetti. Io, con questo viso pallido che non corrisponde al canone classico di ragazza in buona salute. Io, che con il mio mutismo e risposte ridotte all'osso ( come il mio corpo), non ti permetto di farti entrare nel mio mondo. Ma non è facile averne il permesso, sai? Cosa credi? Mi ci sono voluti anni...anni di lunga fatica per costruire questo muro di difesa e ora....Ora arrivi tu, con le tue lauree e le tue teorie, e credi di buttarlo giù? No, caro dottore, non te lo permetto. Ti dimostro che io sono più forte di te. Più intelligente di te. Ti farò sentire un inetto...mentre io...Io sarò la vincitrice. Tu , quello che non ha capito nulla!!!
E ora eccoti qui. Qui davanti a me. E io che mi devo sorbire le tue inutili domande. Basta chiedermi se ho mangiato ( non lo vedi da te???????) , se sono uscita da casa in questi giorni, se continuo a studiare e a vedere i miei amici ( ma non ti ricordi che ti avevo detto che si erano defilati tutti!!!!!!) , se ho parlato a mia madre. BASTA!!!!!!! Te lo chiedo per favore. Stai zitto!!!! Sono stufa! Stufa di essere considerata un oggetto rotto da rimettere a posto. Che ne sai tu dottore, dal bel camice bianco, che ne sai dell'immenso vuoto che c'è dentro di me? Che ne sai della mia angoscia? Che ne sai della mia paura? Niente...Ma hai ragione. Non ti permetto di entrare. Ma sai, io..non lo so, l'altro giorno, c'è stato un momento che ho tentennato sai? Se solo tu lo sapessi... In quel momento ho provato il desiderio di averti vicino. E ho addirittura pensato che forse....forse potevi azzardarti ad avvicinarti nel mio profondo baratro così tenacemente protetto....È stato quando mi sono seduta davanti a te, come al solito. Io tenevo gli occhi in grembo perché non avevo voglia di ascoltarti....ma mentre tenevo gli occhi bassi, non sentivo alcun suono, nessuna parola..Silenzio...Allora...ho alzato lo sguardo e...i tuoi occhi mi stavano guardando. Ho provato un tuffo al cuore... Non era un guardarmi così, tanto per....Tu mi stavi VEDENDO !!!! Finalmente! Qualcuno stava vedendo me!!! Eri lì, in silenzio.. Non avevi paura di me...non mi stavi provocando, e nemmeno compatendo...no...eri lì...semplicemente lì con me...con il mio dolore...

Caro dottore, ora a scriverti è sempre Francesca. Ma 20 anni dopo... Quello sguardo ha sciolto qualcosa in me quel giorno sai? Ma non te l'ho mai detto. Forse te l'ho dimostrato, visto che ora sono guarita.

Ora, vorrei rivolgermi a tutti i dottori. Il silenzio...quanta terapia e cura c'è nel silenzio autentico, nel silenzio vero. Il silenzio arriva laddove non arrivano le parole...Silenzio e sguardo attento: che miscela esplosiva...BOOM!!! Capace di abbattere un muro in un attimo....Consigli, farmaci, terapie, tabelle alimentari, diete personalizzate, esami.....sono tutti rimedi efficacissimi e utilissimi. Altroché!!! Ma non dimenticatevi mai l'importanza di unire a tutti questi metodi "lo stare con" il vostro paziente.. starci realmente . Da ex anoressica e bulimica, vi assicuro che da questa parte, ogni vostro gesto, parola, movimento viene registrato, recepito e catalogato in noi. Vi chiedo di non avere paura. Non avere paura della battaglia che a volte iniziamo anche contro di voi. Siamo noi le prime ad avere paura, se ce l'avete anche voi, dove andiamo?
Siediti, stai con me...se è il caso, tienimi la mano...il sentirti vicino a me è già un balsamo lenitivo per la mia anima ferita...Aiutami ad assaporare non solo il cibo, ma anche il profumo di un fiore. Insegnami a stare lì, a sentirne l'odore, a vederne i colori, a riscoprirne la bellezza...Aiutami ad ascoltare i suoni. Insegnami a stare lì e dare un nome ad ogni suono percepito. Insegnami a ritrovare l'archivio di ricordi dentro di me...Aiutami a toccare una coperta soffice. Insegnami a stare in quel tocco. Insegnami a sentirne la morbidezza e il calore...Aiutami a percepire nuovamente il mio corpo. Insegnami a stare lì a sentire le sensazioni che mi regala...Aiutami a vivere dottore.Insegnami a lasciarmi curare...Aiutami a volermi bene. Insegnami a farlo, volendomene per prima tu.."

Ritornando alla discussione iniziale riguardo il sondino si, sondino no, per me sarebbe bello se non arrivassimo mai al caso estremo del sondino. Ma se è necessario per la sopravvivenza, occorre , sempre secondo la mia opinione, metterlo...Ma non dimenticatevi mai, cari dottori, che non è solo il corpo ad aver bisogno del sondino.. Anche l'anima ha bisogno di essere nutrita.
E ora: "Ciao, mio caro dottore....che mi hai aiutato ed insegnato a credere in me e a spiccare il volo....Ti voglio bene...Mi voglio bene!"

Francesca

martedì 8 novembre 2016

Riflessioni


Capitano notti, notti insonni, in cui ci si ritrova soli, a piangere con i propri mostri, impreparati ad affrontare le paure che questi servono su un piatto d'argento. Hanno volti, ridisegnano gesti e sussurrano, urlano, parole che hanno ferito. E chiedono lacrime, in continuazione, tolgono il fiato, fermano il tempo e i pensieri in attimi eterni, interminabili, di sofferenza.

Sono notti in cui ti fai tante domande - su di te, sulle persone intorno a te, sulla vita, sulla morte - e nessuna risposta sembra riuscire a soddisfarle. Pensi che vorresti accanto qualcuno, qualcuno con cui condividerle, qualcuno a cui raccontare quello che ti passa per la testa, qualcuno a cui stringere la mano nei momenti di difficoltà, qualcuno che stringa la tua di mano quando la strada si fa ripida, qualcuno che ti sussurri 'va tutto bene' mentre ti asciughi le lacrime, qualcuno che ti dica che sei bella, anche quando piangi. Pensi che vorresti, prima di tutto, semplicemente sentire di poter contare su te stessa anche nel silenzio della notte buia.

E sono notti in cui rifletti che ogni giorno è diventato per te una nuova sorpresa, perché quando ti sei disabituata a sentire, ad ascoltare, le tue emozioni e ti stai rieducando a farlo, basta un niente per scoppiare a ridere o a piangere, basta un abbraccio per sentirti accolta dal mondo intero, basta un sorriso per ricordarti che c'è luce, vita, intorno a te. E quel sorriso, anche solo un accenno, che credevi di aver smarrito per sempre, è tornato anche sul tuo volto, che tante volte hai visto riflesso nello specchio, segnato dalle lacrime, sconvolto dalla malattia. Lacrime versate sul sedile di un treno, con la musica a tutto volume nelle orecchie, o accovacciata in un angolino nel silenzio della tua stanza, o ancora, su una bilancia, quasi fosse la tomba della tue fragilità, dei tuoi errori. Lacrime per dare forma, concretezza, al dolore rinchiuso dentro quel corpo fragile che la malattia avrebbe voluto strapparti via, insieme a tutto il resto; affetti, spensieratezza, divertimenti. Lacrime che sembrano essere lì a ricordarti che ancora non hai pianto abbastanza la sofferenza che ha segnato il tuo vissuto, che ancora non hai ne hai attraversata abbastanza per convincerti che anche tu, come qualunque altro essere umano, un po' di rispetto e di amore li meriti, che anche tu puoi concederteli.

Sono le maschere, i mille volti della malattia a gettare nello sconforto, a creare confusione, e nella confusione diventa difficile anche riconoscere cosa merita fiducia e cosa invece no, cosa ti appartiene e cosa invece appartiene alla malattia. Nella confusione diventa difficile riconoscersi, perché nello sforzo di scorgere cosa quelle maschere nascondono dietro per tentare di ricomporle in un'identità, si riesce a vedere soltanto un buco nero, che incute paura. Così, nella foga di seguire i fantasmi della tua mente, quei mostri che ti hanno strappato la dignità di giovane ragazza, hai perso tutto, hai perso di vista te stessa, ti sei persa. E soprattutto, hai perso tempo, un tempo prezioso, quello della giovinezza, che non ti sarà mai più restituito.

Dopo anni e anni di stasi, di immobilità, paralizzata dalla malattia, solo ora mi accorgo di quanto tempo, di quanta vita, la malattia mi abbia privata. Ho sempre respinto l'accusa, spesso rivoltami, di non avere tempo per gli altri, rivendicando che erano gli altri a non avere mai tempo per me. Ho capito che il problema, in realtà, stava a monte: ero io prima di tutto a non avere tempo per me, perché stavo tentando disperatamente di fuggire da me stessa. E se non avevo tempo per Sandra, come potevo averne per gli altri? E come potevano gli altri averne "in abbondanza” anche per me? Trascinata in una corsa frenetica, senza soste, nemmeno di fronte ai segnali di 'stop', ho bruciato tante tappe, ma con esse anche tante possibilità di vita, tante occasioni per vivermi la mia adolescenza, i piaceri e i divertimenti della mia giovane età. Ho sempre fatto gli straordinari, probabilmente nell'illusione che con questo agli occhi degli altri potessi risultare stra-ordinaria, cioè non un comune mortale dotato di ragione e sentimenti, ma un essere capace di spingersi oltre, oltre l'ordinario, e perciò degno di lodi e attenzioni. Come se l'unico modo per sentirsi speciali fosse spingersi verso quell'oltre, verso gesti eroici, non alla portata di tutti; come se l'unico modo per sentirsi "vivi" fosse ribellarsi ad un ordine prestabilito, costi quel che costi, anche la vita. Così mi era stato tramandato dalle esperienze vissute in passato. Strada facendo, è arrivato un momento in cui mi sono resa conto che non aveva più senso rimandare: è arrivato il tempo di dirottare pensieri, energie e sforzi altrove, verso un altro 'oltre', oltre la malattia, nonostante ricordi amari, esperienze traumatiche e vissuti dolorosi richiedono tanto, a volte davvero tanto, tempo per essere digeriti.

Il paradosso della malattia vuole che sia più facile scontrarsi, dare contro, anziché venirsi incontro, evitarsi piuttosto che confrontarsi, nascondersi dietro un piatto vuoto e rifugiarsi nell'isolamento, finendo così per non lasciare entrare nemmeno chi sa accettare le nostre debolezze e vorrebbe provare, anche solo provarci, a sedersi al nostro fianco a tenerci compagnia, nell'attesa che la furia della tempesta si esaurisca e che il sole torni a splendere. Eppure un tempo in cui tutto questo non esisteva, c'è stato. E allora deve esistere anche una possibilità per riscoprirlo. Forse per riscoprire la spontaneità di quei gesti così naturali, così umani – una cena in compagnia, la sincerità di un sorriso, il conforto di una parola amica - bisogna solo ritrovare le 'vecchie, sane' abitudini di un tempo. Forse è solo questione di riabituarsi un po' alla volta al calore della luce, al piacere del contatto umano, alla forza della condivisione, per scoprire che ci si può raccontare agli altri senza maschere, così per come si è, semplicemente se stessi. 

Sandra

domenica 6 novembre 2016

L'amore di un padre

       Maggio 2016: mio padre è venuto a mancare.
L'esperienza del suo trapasso è stata per me molto profonda.
Il rapporto con mio padre è sempre stato molto combattuto.. Ho fatto di tutto per essere vista da lui...ho persino creduto che se smettevo di mangiare, lui si sarebbe finalmente accorto di me......
Le ultime ore della sua vita, io e lui eravamo finalmente insieme. Ancora ho il ricordo della sua mano che cercava la mia. Il tocco di quella mano gelida e allo stesso tempo così piena di "calore"....Mio padre aveva su la mascherina per l'ossigeno e quindi non era in grado di parlare... Ma io ero abituata al nostro non dialogare.... Se ripenso a quante volte ho desiderato che mi parlasse come volevo io...Quante volte sono andata alla ricerca di un suo sguardo..Ma era impossibile tutto questo.  Impossibile per i tanti muri che avevo creato per la mia fottutissima paura di venire rifiutata da lui..
In quel momento, però, ogni resistenza, ogni timore, ogni imbarazzo si è sciolto in me, ed è venuto molto naturale dialogare con lui attraverso la mia anima.....Ho percepito la netta sensazione che la mia anima era in stretto contatto con l'anima di mio padre ..... Ho sentito che, dopo tanta ricerca, lo stavo ritrovando....Paradossalmente, proprio sul punto della sua morte, io l'lo trovato. Ho ritrovato mio padre....È difficile da spiegare con le parole, perché è stato come un percepire un qualcosa che è al di là di ogni comprensione razionale.... Vedevo tangibilmente che il corpo di mio padre stava morendo..... Ma non ciò che era dentro di lui.....
Vedevo la sofferenza di mio padre...Il suo corpo, una volta forte e pieno di vita, ora era lì, sdraiato  in un letto di ospedale..Un corpo di cui la malattia aveva risucchiato tutta la sua linfa vitale.  Nel corpo di mio padre vedevo riflessa tutta la mia sofferenza passata....Quanto ho odiato questo mio  corpo...Quanto dolore gli ho inflitto......Quanto l'ho straziato.....
Sapevo che ci stavamo salutando....sapevo che non avrei più rivisto mio padre attraverso quel corpo....ma ciò che lui mi stava lasciando e mi ha lasciato è qualcosa di grande, di immenso...è l'amore che in tutti questi anni io non sono mai riuscita a sentire ne' a vedere...un amore che, torno a ripetere, non si può  descrivere attraverso le parole....
Mio padre poi ha aspettato che arrivasse in ospedale mia madre, e in quell'istante,  (ricordo ancora vividamente il suo ultimo sguardo) la sua vita si è definitivamente spenta.... Prima di andare a casa, ho voluto avvicinarmi per dargli un mio ultimo saluto....Lì, mi sono accorta che dal suo occhio sinistro stava sorgendo una piccola lacrima..Ho raccolto sul mio mignolo questa ultima lacrima di mio padre e me la sono stretta forte al cuore.....Quella lacrima è stato un dono prezioso...come un dono prezioso è stato essere con mio padre ed esserci potuti ritrovare e salutare......
Ci sono momenti della giornata in cui cerco ancora fisicamente mio padre.....ma se chiudo gli occhi, sento il suo amore per me.....
Le mie sorelle non hanno vissuto la morte di mio padre come l'ho vissuta io...E più volte mi sono interrogata su quanta "fantasia " io abbia messo in tutto ciò...
Oggi ho trovato la mia risposta: non mi importa di sapere l'origine di tutto quello che ho percepito.....Ciò che mi importa è il dono prezioso che ha lasciato in me: non sono più frammentata....una colla dorata ( l'ultima lacrima di mio padre) ha riunito tutti i pezzi che erano  ancora frantumati dentro di me. 
Dietro i miei muri di paura...lui era lì.......Mio padre è sempre stato lì.

Francesca

martedì 1 novembre 2016

E' vita?

Anche questa notte le stelle disegnano un cielo perfetto.
Le guardo, mi guardo intorno e sono avvolta dal silenzio perfetto di questa notte immobile.
Vorrei che domani non arrivasse mai.
Il domani con il suo carico di futuro mi fa paura, mi risucchia tutte le energie, mi svuota, mi lascia inerme e sola ad affrontarlo. Ed io conosco un solo modo per attraversare indenne questo impervio percorso, so che se riuscirò a controllare il cibo ed il peso nulla potrà farmi del male, nulla potrà ferirmi.
Torna la notte. Rassicurante, immobile e perfetta.
E’ solo una breve pausa perché il giorno è alle porte ed io dovrò attingere a tutte le mie forze per riuscire a controllare tutto, di nuovo. E’ un girotondo infinito, pesante, insostenibile.
Voglio smettere di lottare per sopravvivere. Voglio cominciare a vivere.

Daniela


venerdì 28 ottobre 2016

Guarire

Spesso mi sono sentita domandare: " Cosa è stato che ti ha fatto guarire"?....E altrettanto spesso ho risposto dicendo che non c'è stata una ragione particolare a farmi scegliere di guarire, quanto una serie di pensieri, desideri, emozioni. Eppure, ogni volta che rispondevo in questo modo, la risposta mi risuonava incompleta. Sentivo dentro di me che mancava qualcosa di importante. Perché doveva esserci stato sicuramente un qualcosa che ha fatto scattare il famoso "click" dentro di me. Ma cosa è stato? Cosa mi ha spinto a guarire? Quale è stato il click ?
La voglia di vivere?
Il voler finalmente prendermi cura di me?
L'aver compreso che ero io a farmi del male e non i miei genitori, amici, sorelle, colleghi....?
L'aver preso consapevolezza che mi ero buttata in un tunnel di solitudine, annientamento, dolore?
Il desiderio di non avere più il pensiero fisso del cibo?
Il volermi sentire libera, libera di dire basta alle interminabili ore in palestra per sudare, sudare, e ancora fottutamente sudare?
Voler finalmente ritornare a sorridere?........................
Si, queste risposte, a guardarle ancora adesso, hanno sicuramente direzionato la guarigione...ma...non so...manca qualcosa..................ed ecco che, proprio mentre sono qui a rileggere e riflettere, ecco riesplodere in me il famoso click:
" Quando ho cominciato a non amare più la malattia".
Ecco cosa mi ha spinto verso la guarigione.
Sembra assurdo vero? Eppure, per me è stato così.
Quando mi sono accorta che la malattia non era più il mio unico amore, il mio unico piacere, il mio unico sfogo, la mia unica protezione........ecco che allora sono riuscita a veder che dall'altra parte c'ero io....Una ragazzina ormai fattasi donna, con gli occhi incredibilmente sbarrati dalla paura perché ero consapevole di quello che mi avrebbe aspettato di lì in avanti.
Ancora oggi ricordo quegli occhi.. Occhi pieni di terrore e smarrimento eppure, con dentro un fuoco profondo. Una fuoco che mi dato il calore e il coraggio di farcela. Oggi, dopo 20 anni di anoressia e bulimia, posso dire finalmente " Sono Guarita!!!!!!!!!" (alla faccia di coloro che sostengono che dalla malattia non si esce).
Ma attenzione: guarire non vuol dire porre fine al soffrire. No. Guarire vuol dire imparare ad affrontare le inevitabili difficoltà usando altri strumenti che non sono il cibo.
Guarire vuol dire esternare le proprie emozioni...e non soffocarle dentro o vomitarle poi.
Guarire vuol dire chiedere aiuto...e non illudersi che sia il cibo ad aiutare te.
Guarire vuol dire sprofondare in un  abbraccio...e non in una stanza al buio.
Guarire vuol dire condividere...e non isolarsi.
Guarire vuol dire far entrare gli altri nel tuo mondo....e non fare del cibo il tuo mondo.
Guarire vuol dire vedere in faccia il vuoto che è dentro di te e...e riempirlo di vita!!!!!!!!

Francesca


lunedì 24 ottobre 2016

Cambiamenti

E' arrivato il  momento della mia vita che mi fa domandare e riflettere allo stesso tempo sulla mia sofferenza.
Cosa decidi di essere bruco o farfalla? 
Il bruco è spaventato,ha paura di lasciare il suo essere,teme che le sue nuove ali non siano abbastanza forti, ma guarda il  sole che emana energia, vede un mare che infonde speranza e trova fiducia. Da  quel momento, giorno dopo giorno si trasforma in una farfalla sempre più bella e forte. Questo è per dirvi che bisogna lottare,essere determinati,guardare la vita con nuova speranza perché niente è impossibile se si ricomincia ad amarsi.
Un abbraccio speciale di cuore.

Annarita Di Costanzo

giovedì 20 ottobre 2016

ESSERE DONNA


Dedicata a una grande donna !

Dietro a una grande donna c’è un’ombra di passato. A mezzogiorno, quando il sole è più alto scompare. C'è l'adolescenza con tutto il suo repertorio di inadeguatezza, di pieni e di vuoti.L’adolescenza da grande te la ricordi come un luna park chiassoso, ma quando ci passi attraverso vedi solo gli specchi deformanti: troppo grassa, troppo corta, troppo lunga, troppo piatta, troppo spessa. C’è pure il calcinculo   con quello che ti prende e ti lancia, ti fa volare, ma è un circolo vizioso. E la casa degli orrori, così simile a casa, così familiare. Il cibo non nutre e anche il divertimento fa paura.
Dietro a una grande donna ci sono gli ex, ex fidanzati, gli ex amici, gli ex lavori. “ex” ha quella x che è sembra una croce dove una volta c’era un tesoro. Ma “ex” in latino vuol dire anche “da”, come “uscire da”, “venire da” e a pensarci bene, gli ex sono anche radici, da lì si viene, da lì si riparte.
Dietro a una grande donna ci sono inverni infiniti. Gli anni si contano in primavere, ma la maturità si misura in inverni. E si impara dagli alberi, che sono matti gli alberi a spogliarsi quando fa freddo, e invece no, abbandonano il superfluo, si fanno oggetti e aspettano. E si impara dai ricci che si chiudono e le spine vanno fuori, non dentro. Si impara che la letargia non è l'unico che ’allergia all’inverno, si impara il letargo, come pausa piena di vita e di malinconia.
Dietro a una grande donna ce n’è una uguale e più piccola, maligna, parla e pugnala, là dove fa male. Se la ignori scompare.
Dietro a una grande donna ce n’è un’altra uguale e arrabbiata che abbaia, morde e se la fai incazzare ti piscia pure sul tappeto. Se la accarezzi smette.
Dietro a una grande donna non c’è lato b o fattore c. Una grande donna di solito sa dire culo senza problemi e soprattutto sa riconoscere quando l’ha avuto e quando se l’è fatto.
Dietro a una grande donna non ci sono briciole per ritrovare la strada. La questione non è come tornare, ma se sia il caso di tornare.
Dietro a una grande donna c’è un futuro che non fa paura e “domani è un altro giorno” non è una minaccia.
Intorno a una grande donna c’è un girotondo di persone, di progetti e tutto si tiene alla faccia delle leggi della fisica e della ragione.
A fianco di una grande donna, qualche volta c’è un uomo. Lei lo guarda: “che bello averti conosciuto”, lui sorride: “bello aver voglia di conoscerti ogni giorno un po’ di più”.
Dietro una grande donna ci sono le incomprensioni, i tradimenti, i colpi dati, quelli ricevuti, quelli schivati. Ci sono i “mai più” e i “mai dire mai”, c’è la voglia di dare un senso all’insensato e di capire anche quando non c’è niente da capire.
Dietro a una grande donna c’è una donna che accetta di diventare grande. Con tutto il carico di dolore, di sofferenza e di bellezza. Sulle spalle.
Enrica Tesio fonte

Francesca

lunedì 5 settembre 2016

Ospite d'onore,aggiungi un posto a.....te!



E poi, senza chiederti il permesso, entra, entra dentro. Da dove viene? Non si sa. Ma arriva e il suo fascino t’invade. Non subito, interamente. Piano piano, silenziosa, invisibile, invitante… ti conquista. Le apri la porta, incuriosita da lei. Non sa precisarti per quanto resterà, non ha valigie. Ma è un ospite che accogli volentieri, a cui inizi a donare volentieri; spazio, cose, ciò che chiede… Non sai perché ma ti senti piuttosto onorata che abbia scelto te. E quindi non ti preoccupi di doverle donare qualcosa, ciò che puoi. Non ti sembra poi tanto un sacrificio farle un po’ di posto. Anzi, il tuo animo buono e gentile, che ha avuto posto per tanti e tanto altro, è ben disposto, finalmente, a far posto a lei, a lei così inattesa, così diversa, così bisognosa... come te! E quando chi ti conosce inizia a metterti in guardia, tu non puoi crederci. Così gentile, così casta, così discreta, non può mentirti. “Ti sta ingannando!”- ti dicono - “Ti nasconde il suo vero nome”… ma no, cosa s’inventa la gente basta metterti paura e farti restare a terra come loro, invece di lasciarti volare… sì perché lei ti sta insegnando a volare; ti tiene occupata per tanto tempo, certo, ma ti promette continuamente che i sacrifici sono necessari per stare bene, per sentirsi finalmente diverse, belle, leggere… e tu ci credi. Hai creduto in cose ben più assurde. E poi lei finalmente ti fa stare bene. Sì, piano piano, ti fa perdere qualcosa, qualcuno… ma non ci badi. Parla piano, sottovoce, solo tu riesci a sentirla. Ma parla tanto, continuamente, è convincente. Ti promette una forza mai avuta. Al suo fianco ti senti davvero finalmente forte, imbattibile, capace di tutto, piena di coraggio. Tutti iniziano a ripeterti, sempre più spesso, che in realtà sembri più debole, che ti vedono triste, che non sei più quella di prima. Ovvio, finalmente ti senti così forte da riuscire a rispondere male e sbattere la verità in faccia a chiunque; per forza cercano di fermarti, di separarti da lei. Ma lei è ciò in cui credi, è lei la tua nuova misura di tutte le cose. Valuti tutto in base ai suoi consigli, ai suoi ammonimenti… la gente inizia a guardarti quasi spaventata mentre cammini per strada. Molte amiche ti evitano, ma a te non importa, peggio per loro… tu hai lei e ti basta! Lei è la via giusta, lei è la verità. Stare con lei è l’unica cosa che ti rende felice, ovvero ti rende più sopportabile tutto il resto; quel resto in cui proprio non riuscivi più a stare, a vivere… e ora stai vivendo? Beh certo… sì forse, ora che ci pensi, ti rendi conto che esci di meno, che un po’ stanca la sei, che devi mettere un maglione in più rispetto all’inverno passato… beh nulla di grave… tutto nella norma. Non parli di lei con nessuno, anche perché lei non ci tiene a farsi conoscere. Le basti tu, le bastano le tue attenzioni. Certo vuole sempre più attenzioni; ma tu sei brava in questo, non ti pesa. Ti è sempre piaciuto prenderti cura degli altri, sei sempre stata attenta ai bisogni degli altri, ai giudizi degli altri… ma lei non ti giudica, anzi lei ti sta anche rendendo meno preoccupata delle opinioni altrui. Spesso ti chiedi come hai fatto a vivere tutto questo tempo senza di lei, che stupida che eri… adesso finalmente hai capito che solo insieme a lei puoi resistere al mondo! Ogni tanto ti rendi conto che tanto rilassata non la sei, la vita con lei è piuttosto frenetica… non riesci molto a riposare. Forse è proprio lei che ti sta insegnando a non aver più bisogno di riposo, il riposo non ti serve, è dannoso… sei iperattiva insieme a lei… e tutti te lo ricordano, quasi come rimprovero. E tu ormai lasci perdere, quasi compatisci quelli che non capiscono che hai trovato la strada giusta. Non si ricordano che prima che arrivasse lei nella tua vita eri piuttosto pigra, svogliata, depressa?! Volevi sempre dormire... e già ti rimproveravano. Ora fai di tutto e di più e comunque ti rimproverano; poveretti, non sanno neanche loro cosa vogliono. Tu finalmente lo sai… vuoi vivere con lei!
Peccato che a un certo punto la stanchezza inizi a sentirla. E’ un piccolo ritorno di vecchia stanchezza? E no, magari lo fosse! E’ un’immensa stanchezza. T’invade e lei dice di non averne colpa, sei semplicemente tu che non sei abbastanza resistente… e allora ecco i sensi di colpa a non finire. Ecco il cercare di fingere che va tutto bene, che riesci comunque a fare tutto… Ordini ai tuoi genitori di non guardarti con quella pena e quella paura di non rivederti più ogni volta che esci di casa… “Mamma, papà mi sono anche laureata col massimo dei voti, vedete?” - “Va tutto bene, è tutto sotto controllo!”. Certo. Lei ti ha insegnato il controllo… il controllo delle calorie; il controllo delle emozioni; il controllo di te stessa! Ma tu non sei un’anima tanto piccola… ora come ora hai un corpo troppo minuto e debole per contenere quell’anima che si dibatte indomita! Sì, perché lei ti ha portata a far dibattere il tuo corpo… in qua e in là… non ti permetteva di lasciarlo riposare, di tenerlo fermo, in questo modo ti ha portato a consumarlo. Forse solo ora, dopo tanto, troppo tempo, inizi a riconoscerlo, sei obbligata a riconoscerlo… ti obbliga a riconoscerlo proprio quell’anima, quel dentro, che non riesce più a stare in un corpo a tal punto consunto. E allora deborda… e cosa accade? Tachicardie a non finire, crisi di pianto che non si fermano finché non hai esaurito le lacrime, grida rabbiose contro chi ti sta vicino… un impenetrabile mutismo di fronte a quel tipo in poltrona che tenta di imitare Freud…
Forse davvero qualcosa non va. Lei è ancora lì con te ma inizi a sentire la “pesantezza” della sua compagnia. Più ti “spoglia” di qualsiasi cosa, di chilogrammi, di amici, di passione, più ti senti pesante. Che fare? Cacciarla? Smettere di ascoltarla? Fosse semplice. “Smettila di fare i capricci come una bambina”-ti dicono i più- “Non ascoltarla e il gioco è fatto”… ok volete provarci voi? Vi sembra semplice?! “A noi no, ma TU ti sei voluta ridurre così e TU devi avere la forza di uscirne, su che ce la fai”. Allora, innanzitutto come fare capire che tu non hai scelto di fidarti di lei perché sei una bambina viziata e capricciosa? O perché non avevi altro da fare?… come, d’altronde, rendere chiara la tua situazione dal momento che tu stessa hai sempre negato fosse un problema? Dal momento che neanche tu sai più cosa stavi inseguendo, cosa stai inseguendo… cosa cercavi, cosa stai ancora cercando? Concentrandoti su di lei ti sei dimenticata del mondo che non ti piaceva, ma hai dimenticato anche te stessa. Cosa vuoi? Cosa desideri? Ma prima di tutto questo cosa volevi, cosa desideravi? “IO NON LO SO!”. Oramai la tua risposta è questa… a tutte le domande non sai rispondere altro che “Non lo so!”, “Non so più niente”, “Non so più cosa fare”. Ogni tanto un barlume di lucidità ti suggerisce che avanti così non puoi andare… e allora abbandonare lei? Questa sarà la soluzione? Ma abbandonarla sarà un tornare indietro, al passato. Tu non vuoi questo. Non hai fatto tutti questi sacrifici per nulla. Dovrai buttare via tutti questi mesi, questi anni?!! Non vuoi farlo! Non puoi ammetterlo! E poi non vuoi tornare al prima di tutto ciò. Hai ospitato lei per, finalmente, cambiare qualcosa, cambiarti forse. E in fondo ti ha cambiata; forse non poi tanto in meglio ma almeno sei diversa, finalmente diversa da prima, diversa da tua sorella, da tua mamma, da tutte!!! Ma come continuare a mantenerti in questa diversità che ti sta costando così tanto, così troppo?! Hanno già iniziato a parlarti di pericolosi danni permanenti, di cronicità mortali… e inizi ad avere paura… paura di non sapere cosa scegliere adesso, paura che la scelta peggiore sia ad ogni modo la migliore, l’unica via d’uscita… e non lo dici, non lo dici neanche a te stessa forse, ma lo pensi. E rimandi… rimandi appuntamenti, rimandi telefonate, rimandi pranzi, rimandi scelte, rimandi te stessa! Hai rimandato così tante volte te stessa che nemmeno ti ricordi che esisti, che ci sei, che sei unica, inconfondibile, irripetibile!
Nulla può ormai scuoterti e farti uscire da quel limbo in cui sei finita, insieme a lei. Nulla… niente e nessuno… o forse no… forse sei tu quel “nessuno”… tu a un certo punto griderai… sì, forza, ci riesci, coraggio!.. sì sei tu che gridi… ascolta… ascoltati… stai gridando…  a letto… guardati... un semplice raffreddore e qualche linea di febbre ti hanno costretta lì… tremi, sudi, il cuore batte lento ma forte, fatica…. gli occhi si annebbiano… non vedi quasi più nulla… stai per arrenderti… e invece no… a un certo punto ti ascolti e scopri di stare gridando… gridi, implori… “Mamma ti prego butta la bilancia, voglio mangiare, datemi da mangiare!”… e con una frase urli molto di più… “Mamma, mondo, sono qui, sono io, Chiara, la vostra Chiara, la mia Chiara, ce la faccio, ora mi alzo e caccio via Lei, ora ho capito, ora combatto, per me stessa, Dio dammi un’altra opportunità, sono qui e voglio vivere!!!”

Chiara Bottaro