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Questo spazio è dedicato a tutti coloro che vogliono CREARE UNA NUOVA CULTURA SUI DCA. Siete tutti importanti perchè unici, così come uniche sono le vostre storie e i vostri pensieri. Questo Blog resta quindi aperto a chiunque voglia proporre o condividere, perché Mi Nutro di Vita è di tutti ed è fatta TUTTI INSIEME.

sabato 30 dicembre 2017

Amati



- Per guarire devi imparare ad amarti! 

- E come si fa?

- Smetti di giudicarti e va avanti, smetti di metterti alla prova, smetti di guardare negli occhi degli altri un segno di approvazione!

- Mi sento sempre inadeguata....

- Certo non ti liberi del tuo personaggio, devi essere, bella, brillante, intelligente, sempre di dire la parola giusta in ogni momento...Dio! Ma ti rendi conto di quanta ansia metti nelle cose più semplici?

- Già....ma io non so fare diversamente è una gran parola "amati" per una che nella vita ha cercato in tutti i modi di essere amata!...

- Ma non lo capisci proprio? Che il vuoto che hai dentro tu lo puoi colmare delle cose belle che hai sempre avuto dentro di te e che sono solo tue, dentro di te da quando sei nata e ti fanno unica che nessuno e dico mai nessuno può realmente portarti via?

- Riempire il vuoto d'amore col mio amore, come si fa? A volte io mi sento felice e penso di spaccare il mondo, di aver vinto sulla sofferenza e altre volte tutto mi pesa addosso e non mi va di fare quello che sto facendo.

- No, non è così! Le volte che tutto ti pesa è perché hai lasciato entrare altro dentro di te! Comprendi? Hai tolto del tempo per te, hai assorbito rabbia e dolore altrui, ti sei fatta carico dei mali altrui dimenticandoti di te stessa! Tu sei sempre quel raggio di Sole che si fa strada nelle dinamiche della vita, non deve essere mai il contrario!

- Ma come si fa, come si fa? (si nasconde il volto fra le mani)

- Tempo, dedicati del tempo, ascoltati, inizia a pensare che tu sei detentore della tua verità, e non dare ascolto ad altre voci, la verità non è mai assoluta, è qualcosa che senti dentro, che la tua sensibilità accoglie e non sarà mai uguale a quella di altri, non ti potrà mai uniformare! Capisci?

- Ho un dolore grande che mi annienta se mi dico la verità. (piange)

- No tesoro, la verità..la tua verità! Spoglia il dolore di quella parte cattiva che ti graffia l'anima. Ti consuma fargli resistenza! Il dolore diventa forza, diventa una cicatrice dell'anima che curerai ogni giorno prendendoti cura di te! Diventerà qualcosa che c'è ma non può più farti male, non sanguina più, è solo cicatrice! E quando la guarderai, non ti sentirai male, vedrai ciò che sei ora e ciò che sei stata. Quella cicatrice misurerà sempre la distanza tra lei e te!

Buona vita a tutti!
Clara

mercoledì 27 dicembre 2017

Un'altalena di emozioni


L'idea iniziale era scrivere un pezzo sul Natale, sulla sua bellezza e magia...ma anche su ciò che, per chi come noi, si porta appresso. Dolori, difficoltà, dubbi, tristezza più o meno spiegabile. Avrei scritto di come avevo intenzione di fare per sopravvivere alle feste...il tutto, urlato e non taciuto con lo scopo di far capire quanto questi periodi di festa pesino sulle nostre già precarie condizioni.
Beh, quel pezzo infine non l'ho spedito al blog. È ancora sul mio pc. Perché?

Perché la malattia quest'anno, in modo più irruento degli scorsi, mi ha tolto anche il Natale. Fino all'anno scorso riuscivo, seppur a fatica, ad addobbare casa, pensavo ai regali per i miei cari, uscivo, nonostante sforzi immani, a fare auguri e stare in compagnia...pensate, mi vestivo persino col pigiama rosso. Mi imponevo di sentire e vivere la magia della festa, anche semplicemente indossandola. Lo facevo in parte per me, per non pensare al dolore almeno qualche ora, e soprattutto per gli altri, per non deluderli, per non rovinare loro le feste, per far sì che fossero certi del mio amore nei loro confronti.

Quest'anno...vi racconto il mio 25-12-17.

Sveglia h 6, preparo il caffè, me lo gusto (neanche tanto) associato alla solita sigaretta. Torno a letto (non per dormire, solo per non sentirmi viva). Mamma verso le 11 mi viene a chiamare, salgo con lei e ci facciamo gli auguri e scambiamo i regali. I miei, fortunatamente, azzeccati per tutti. Ho ricevuto poco, ma non ha importanza, non mi aspetto nulla da molto tempo. Una lacrima scende, torno a letto. Un'oretta dopo chiamo papà perché mi accompagni a fare un intramuscolo in ospedale, un calmante. Mi faccio lasciare a casa e auguro a lui e famiglia di godersi il pranzo coi parenti. Dal letto sono scesa circa 3 volte, una per "pranzare" (solo e solamente per rispettare gli accordi con la nutrizionista, io avrei digiunato), una per un caffè-sigaretta, una per "cena". I miei genitori sono rientrati verso le 18, ma li ho voluti vedere solo dopo cena. Sono salita per salutarli, abbracciarli, dir loro che li amo e che mi dispiace di come sia andata quest'anno. Sono tornata sul divano, ho preso le solite pastiglie, più quelle al bisogno, poi ho chiuso gli occhi e ho lasciato mondo e pensieri fuori dalla porta.

Ecco. Questo è stato il mio giorno di Natale.

Quando dentro non c'è luce, non c è festività che tenga.
 
Lara

- - -
In apnea. Così si vivono i giorni "di festa".
I giorni "di festa" si vivono con il fiato sospeso, per i continui vuoti da colmare, per gli insistenti silenzi da riempire, intervallati dal rintocco delle campane, dalle conversazioni a senso unico con i fantasmi della mente.
I giorni "di festa" si vivono con il fiatone, a furia di scappare, di fuggire, in cerca di una boccata d'aria; un sorriso sincero, una parola amica, uno scatto spontaneo, quasi rubato all'imprevedibilità della vita.
Cerchi disperatamente intorno a te, o forse dentro di te, un raggio di luce a cui aggrapparti per ricordarti che devi respirare, sempre, perché a restare troppo a lungo in apnea si rischia di morire soffocati.
(…)
Ci sono giorni in cui il sole non sorge mai, sembra essersi dimenticato di svegliarsi.
Ed altri, invece, in cui il calore tiepido dei suoi raggi riaccende la speranza, come il fuoco ristoratore del camino in una gelida notte d’inverno. Riscalda e scioglie le emozioni, una dopo l’altra, si succedono come le scene di un film già visto, a cui hai assistito con gli occhi bendati e le orecchie tappate da una terrificante presenza, la malattia. Scene a cui ti ritrovi ad assistere inerme, perché, per quanto si possa cercare di controllarla o di gestirla, un’emozione non si programma, non la si costruisce, arriva spontaneamente: scendono lacrime, di gioia o di dolore, un brivido attraversa la schiena, lo stomaco si chiude, le gambe tremano, sul viso si accenna un sorriso... Ti può cogliere impreparata e sorprenderti, o travolgerti, o ancora rigenerarti...certo è, che qualunque sia l'effetto che suscita in te, tu non puoi che accoglierla, lasciarla danzare intorno a te e custodirla come un tesoro, perché potresti non riviverla più con la stessa intensità, né allo stesso modo. Non perché potrebbe non ripresentarsi mai più, ma perché sarai cambiata tu.
Mentre si soffre non si riesce a percepire, a sentire, quello che si è in grado di trasmettere
. O forse lo si intravede, forse in lontananza, ma in maniera sempre distorta, alterata, distaccata, perché qualsiasi 'movimento' è filtrato attraverso l'istinto della malattia; severo, giudicante, inflessibile.
La sofferenza insegna anche questo: che di fronte ad un'emozione, positiva o negativa che sia, anche la paura si fa da parte, perché ogni emozione è il riflesso dell'universo sconfinato che ci portiamo dentro, è uno dei codici umani con cui partecipiamo alla nostra vita di ogni giorno, con cui ci raccontiamo, a noi stessi e agli altri, ogni giorno.
In quest'ottica, allora si, anche stare male ha un senso. 

Sandra 

[brano estratto da "Oltre - Scoprirsi fragili: confessioni sul (mio) disturbo alimentare (Liberodiscrivere Edizioni, 2018)].

domenica 24 dicembre 2017

Sentire l'amore


Il mio cuore ora riesce a sentire. Sente non solo l'amore che ho intorno, ma anche quello che alberga in esso. Gli ho avvolto intorno un soffice fiocco rosso e l'ho posto sotto il mio albero di Natale. Non c'è nient'altro sotto ve lo assicuro, perché davvero non avrei occhi che per esso.
Riscoprire la propria umanità e custodirla come il regalo più prezioso non ha eguali, soprattutto in questo momento in cui lo stare insieme è l'ingrediente che fa la differenza per assaporarla e goderne.
Prima di questi ultimi due anni, non ricordo quando il mio Natale sia stato una coccola per me. Se chiudo gli occhi, ritorno indietro a quando ero bambina, periodo in cui la magia del Natale si esprime ai suoi massimi livelli, dopodiché buio. Tavole imbandite non solo di leccornie ma anche di emozioni incontrollate, che mi portavano a voler rendere insapore ogni cosa. Solo sgradite e 'cattive' tentazioni mescolate alla mia incapacità di comunicare, di esprimermi. Sotto l'albero regali anche graditi, ma l'unico vero regalo che avrei voluto, rimaneva sepolto chissà dove. Avrei voluto che quella tavola fosse il mio più gradito regalo. Quella tavola di convivialità, circondata da persone che amavo, di cui anche io ero parte e di cui avrei voluto sentirmi parte senza farmi male e senza che chi vi era intorno stesse male.
L'idea, il ricordo, indelebile, le cicatrici lasciate da tanto dolore ora rendono il mio Natale forse per quello che dovrebbe essere e non mi fanno desiderare di vedere chissà quale regalo sotto l'albero, basta sentire l'amore dei miei cari e quello che provo io per loro.
Dunque non posso che augurare con tutto l'affetto possibile a tutte le persone che ancora combattono, di poter stringere intorno ad un soffice fiocco rosso il regalo davvero più prezioso, l'amore che si può provare per se stessi, scoperto ciò anche quello altrui sarà un caldo abbraccio.

Rosy

giovedì 21 dicembre 2017

La cura dell'anima



Mi chiamo Micaela, ho 42 anni e da 20 soffro di disturbi alimentari.
Da poco ho cominciato un percorso, il mio percorso verso la guarigione. Una volta non avrei mai sperato di poter anche solo pensare a questa parola, dopo tanti anni, ricoveri e tentativi di sopravvivere, invece ora sono sicura che guarire si può.
Tutto è iniziato quando a luglio mi sono trasferita e, pur restando nella stessa provincia, ho cambiato ASL di appartenenza. Ho cominciato a cercare una struttura che potesse seguirmi e mi sono scontrata con una dura realtà….gli appoggi sono pochi e per una persona adulta e "cronica" la possibilità di ricevere aiuto sembra inesistente…
…questo, al contrario di quello che si potrebbe pensare, è stata la mia fortuna!

Nonostante porte in faccia e rifiuti, continuavo a cercare aiuto e tramite la rete ho ‘scoperto’ l’associazione Mi Nutro di Vita. Ho scritto una mail, senza alcuna speranza di ricevere risposta, per le premesse che avevo fatto, per scetticismo, scoraggiamento e poca fiducia.
Invece, poco dopo, ricevo una mail di risposta, da Francesca…mentre leggevo sentivo cose nuove…disponibilità, attenzione, fiducia e soprattutto speranza…qualcuno reale, che aveva passato quello che avevo vissuto io, era guarito e capiva perfettamente tutto, da quel poco che avevo osato scrivere. Non solo bellissime parole, ma anche una proposta concreta: un invito a partecipare al loro "laboratorio" di condivisione e auto-mutuo-aiuto.
Non sapevo cosa aspettarmi…quella mail, quelle parole avevano acceso dentro di me una piccolissima luce…avevo così paura che fosse una mia illusione, che non avevo il coraggio di prestarle attenzione…ma qualcosa dentro di me non voleva arrendersi.

Mi sono fatta accompagnare dal mio compagno e siamo andati. Pur trovandomi in mezzo a persone estranee, ho sentito subito una forza…non mi sentivo più sola, potevo parlare o anche solo ascoltare e condividere emozioni, sentimenti, paure che solo chi è dentro il problema conosce, in un ambiente protetto, senza timore di giudizi.
Sono riuscita a parlare un po’ di me, della voglia di trovare aiuti concreti e adeguati, e di non volermi fermare nonostante le difficoltà, e ho subito ricevuto ascolto e soprattutto intravisto una nuova prospettiva: guarire!
Mi è stato suggerito di scrivere una frase che avevo detto: "perché adesso ho tanto per cui vale la pena riprovarci"; questo sarebbe stato il primo di tanti biglietti che mi stanno accompagnando nel mio percorso di vita.
Subito non ho realizzato quanto significativo sarebbe stato questo incontro. Non ho smesso di cercare aiuti specializzati: quella piccolissima luce, non solo non si era spenta, ma mi dava forza di non arrendermi. Cominciavo timidamente a credere che forse anche io potevo guarire, rileggevo il biglietto, che porto sempre con me, e le mail costanti di sostegno e suggerimenti. Ma ecco l'ennesimo rifiuto! ‘Sono 20 anni, sei cronica, cosa ti aspetti dopo anni di terapia, sei da Salute Mentale o da ricovero…ma non con ragazzine…
Contro ogni logica 'malata', a quell’ennesima sentenza reagisco decidendo di uscire con il mio compagno. Per la prima volta, dopo tanto tempo, metto da parte la malattia, dedico tutto il giorno a prepararmi…sono fuori, con lui, in mezzo ad altre persone, sto facendo una cosa normale, come chiunque altro, vedo luci, colori, sento profumi, suoni, parlo e rido e mi sento amata e forte perché non sono più sola…ha anche il mio biglietto…penso ecco, io, Micaela, sono questa! Posso essere normale, posso farcela con gli aiuti giusti, non sono "cronica", posso fare più che semplici miglioramenti e convivere con i sintomi…che strana sensazione, mi sento per la prima volta viva.

Dopo qualche giorno, al mio secondo incontro a Pieve Ligure, racconto con imbarazzo quello che era successo e, nonostante non avessi ancora iniziato un nuovo percorso medico (che ora invece ho ripreso a portare avanti), quello che tutti vedono è una luce nei miei occhi, una luce di vita, la voglia di uscire da quella gabbia che è la malattia. 
Il cambiamento era già cominciato…la cura dell’anima…grazie alla fiducia, al sostegno, al sentirmi forte, perché nessuno si salva da solo.

Micaela

martedì 19 dicembre 2017

Per favore, non mollare.



Lo so che ti sembra che il buio che sta prendendo il sopravvento vincerà. Lo so che il freddo ti è penetrato nelle ossa e nell’anima, e che l’intorpidimento ha fatto sbiadire tutti i colori nella tua vita. Ti senti sola e spaventata. Le decorazioni e gli inviti alle feste natalizie sono l’ultima cosa che ti passa per la testa.
Ti inventi scuse a destra e a manca per evitare ogni contatto con il cibo. 
Ti inventi scuse a destra e a manca per evitare contatti con le persone, qualunque contatto. La tua ibernazione è iniziata ben prima che le festività arrivassero, perché questo periodo della tua vita era già dannatamente buio e freddo.
Ti guardi allo specchio al mattino e il riflesso che ti fissa è qualcuno che non riesci a riconoscere. Occhi spenti e pelle morta, l’espressione piatta finché non ti incolli un sorriso per quelli che ti stanno intorno. Capelli che non staranno al gioco e un corpo nel quale odi stare. Cominci a chiederti come ci sei arrivata fin qui.
Camminando per le strade infagottata in decine di strati di vestiti, non ti puoi nascondere dal luccichio delle decorazioni e dal flash delle macchine fotografiche dei gruppi di amici felici intorno a te. I centri commerciali sono affollati di bambini e famiglie nel pieno delle loro vacanze, aspettando di vedere Babbo Natale. Ti senti come un ospite indesiderato nell’allegria delle festività. Il tuo appartamento ancora dev’essere addobbato.
Quest’anno ti ha lasciata sconfitta, persa. Hai fatto del tuo meglio per lottare, ma ti stai spegnendo lentamente. Tutto quello che desideri è essere di nuovo normale.

Lo so, ci sono passata.

Non c’è una cura magica. Non c’è un segreto che io ti possa rivelare, sebbene vorrei disperatamente averne uno. Ho passato tante festività pregando che la mia situazione fosse diversa, accusando me stessa del casino in cui mi ero ritrovata. Ma questo non è un casino che hai causato tu. Il tuo disturbo alimentare non è colpa tua. E’ un disturbo che tu hai, ma questo non significa che tu sia il tuo disturbo.
Tutto quello che posso dirti è: per favore, non mollare. Per favore, non mollare, non arrenderti, anche se ti sembra la cosa più semplice da fare. So che sei fragile ed esausta, ma cerca di fare semplicemente del tuo meglio per continuare a lottare. Sei una combattente, una sopravvissuta e una guerriera. Sarà sempre una lotta dura, ma tu ce la puoi fare. Potrà essere un viaggio lungo, ma questo non significa che durerà per sempre.
Sappi che non sei mai sola. Ci sono molte altre persone che come te stanno lottando, come te in viaggio verso la guarigione.

Fai un respiro profondo. Lascia andare tutto. Riparti. Continua a lottare.

Kylee
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Lettera a tutti coloro che soffrono di un Disturbo Alimentare nel periodo delle festività‘ scritta da Kylee Schmuck per The Mighty, un sito/blog che si occupa di far conoscere diverse condizioni mentali attraverso le parole dei protagonisti – persone che ne sono affette o che sono loro vicine.
[Traduzione a cura di Mi Nutro di Vita]

Natale è...speranza


*Tra pochi giorni è Natale...per tutti?*

Il Natale è luce, amore, condivisione, gioia, ma non per tutti questo periodo dell'anno può essere entusiasmante.
Potrebbe capitare a chiunque: chi vive la perdita di un proprio caro, un momento difficile, o una condizione patologica.
Anche chi convive con un disturbo alimentare può avere maggiori difficoltà in questo periodo.
Lo sappiamo bene, ed è per questo che pubblichiamo questo post condividendo una toccante poesia che Ungaretti scrisse nel Natale del 1916, di ritorno dal fronte di guerra.

NATALE DI GIUSEPPE UNGARETTI
"Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
."

Anche chi soffre di un DCA può sentirsi così.
Ma lottare per guarire significa anche concedersi la possibilità di intravedere una luce, di ritornare prima o poi a sentire lo spirito del Natale, di accogliere se stessi, la propria ri-nascita e gioire nonostante il lungo viaggio, le difficoltà e la fredda grotta.
Non perdete la speranza.
Noi non la perdiamo mai, e il regalo natalizio più bello che abbiamo ricevuto in anticipo è stato ascoltare i pazienti dire che sono contenti di festeggiare finalmente il Natale, sapere che alcuni faranno un piccolo viaggio dopo anni e anni di immobilità assoluta, vedere la luce negli occhi di chi ha rifatto l'albero dopo tanto tempo, di chi è contento di tornare a giocare a carte con parenti e amici, e di chi decide di mangiare il pandoro senza paura di un'abbuffata o una restrizione.
Guarire è possibile e donarsi questa speranza può essere il regalo più bello.
Noi ve lo auguriamo con tutto il cuore.
 
Dott. Mario Russo e Viviana Valtucci

lunedì 11 dicembre 2017

Nessuno si salva da solo.



"Quella mattina non avevo in testa il solito pensiero malato ma ero concentrata su un unico obiettivo: volevo dimostrare che qualcosa dentro di me era cambiato, non solo a me stessa ma anche a lui, che con me non si è mai arreso".
Così Michela ci racconta di una delle serate più belle della sua vita da quando la malattia aveva rinchiuso la sua mente dentro una gabbia, impedendole di vivere. Proprio da questo verbo nasce l'associazione "Mi Nutro di Vita": fondata da Stefano Tavilla dopo che una delle numerose malattie dovute a disturbi alimentari gli aveva portato via sua figlia Giulia. Questa associazione non ha come obiettivo quello di risolvere problemi ma di sostenere tramite un blog e alcuni incontri chi soffre di questo disagio e le persone che fanno parte della loro vita. Proprio ad uno di questi incontri ci hanno spiegato che “gabbia” non è un sostantivo qualunque, per queste persone la “gabbia” diventa quel luogo in cui la malattia imprigiona i loro pensieri e non permette loro di vedere la vita in modo normale ma solo attraverso una lente distorta. Non è possibile esprimere le proprie emozioni in questa realtà deformata se non attraverso il cibo, che per loro diventa un vero e proprio linguaggio. Il cibo come linguaggio non è un concetto poi così strano, basta pensare al premio più desiderato da un bambino: "se fai il bravo ti compro il gelato". 
Mi sento impotente quando vedo mia figlia seduta a tavola che non mangia mentre una volta era proprio il mio corpo a nutrirla, ora non riesco e non posso farlo".
Il dolore di una madre che pronuncia queste parole ci fa capire che a soffrire non è solo il malato ma anche la sua famiglia. Si crea un circolo vizioso in cui i genitori si sentono responsabili mentre il figlio si sente in colpa e sente sulle proprie spalle il peso della felicità del nucleo familiare. 
Michela aspetta fino all’ultimo momento per farsi la doccia in modo tale da essere il più profumata possibile. Posticipa l’uscita con il fidanzato verso il tardo pomeriggio per riuscire a farsi invitare a cena fuori. Il momento di fare il passo decisivo è arrivato ma ancora una volta il pensiero malato torna travolgendola con le solite domande: cosa avrebbe dovuto e potuto mangiare, quante calorie avrebbe assunto con un solo pasto, quanto condimento ci sarebbe stato nel piatto e se il digiuno che aveva prontamente organizzato sarebbe bastato a compensare tutte le calorie assunte quella sera. 
Mentre ragiona su tutto ciò lui è lì con lei e conoscendola bene si rende conto che sta cedendo alla malattia. Non la abbandona.
Le pone davanti un bivio: farlo per davvero o ancora una volta posticipare la svolta a un futuro incerto. 
Lei pensa alla sensazione di impotenza e sconfitta che aveva provato quando la sua psicologa le aveva detto che non avrebbe più potuto seguirla poiché dopo vent’anni di anoressia la malattia era diventata cronica; aveva deciso che quella non era la vita che voleva vivere ma era anche consapevole del fatto che non avrebbe potuto farcela da sola. Si era presentata al gruppo di ascolto organizzato dall’associazione e sentendo storie di persone che effettivamente ce l’avevano fatta si accorse che anche lei voleva mettere un punto definitivo a tutta questa storia. 
Decide allora di vincere questa battaglia mettendo a tacere le voci che provenivano dalla gabbia e andando a cena fuori. 
Il giorno dopo sembra a Michela essere il giorno di una altra vita, una vita migliore senza quel punto fisso che non le permetteva di essere felice. Quella sera si era resa conto di quanto fosse bello e di quanto le fosse mancato vivere. 
Nessuno si salva da solo.

Giulia

sabato 9 dicembre 2017

Io e il mio corpo, abbiamo fatto pace.



"CIO' CHE AVETE IMPARATO ASCOLTANDO LE PAROLE ALTRUI LO DIMENTICHERETE MOLTO RAPIDAMENTE, CIO' CHE AVETE IMPARATO CON TUTTO IL VOSTRO CORPO LO RICORDERETE PER IL RESTO DELLA VOSTRA VITA." (Gichin Funakoshi)

Ci sono cose dette che possono lasciare il segno, ma ci sono cose che 'respiri' e che ti attraversano che ti cambiano. 
Un cambiamento che arriva anche attraverso la sofferenza fisica, che implica un contatto unico e forte con il proprio corpo è ciò che letteralmente significa 'me lo sento addosso'. 
Ricordo in maniera vivida, quanto le mie estreme difficoltà di comunicazione chiudessero in un nodo le mie emozioni incastrandole nel mio stomaco, e spingendomi a pensare di volerlo eliminare dal mio corpo per scaraventarlo nel posto più lontano. 
Quante volte il mio corpo mi mandava segnali per poter dire che le mie energie erano davvero in dirittura d'arrivo, ma la mia testa non solo si rifiutava di ascoltare, ma addirittura cercava di sostituire quel carburante con la forza ossessiva dei miei obbiettivi malati di perfezione. E lo stremo a cui arrivavo ogni volta che mi punivo con il vomito; guardavo allo specchio i miei occhi rossi, gonfi e sentivo il mio cuore che stava per uscire dal mio petto. Il terrore ogni volta che sentivo lo stimolo della fame, con tutte le strategie che potevo mettere in atto per poterla azzittire. 
Il corpo, il mio corpo 'aggredito' dalle flebo, lontano da me anni luce eppure così vicino. Un corpo che diventava sempre 'più insignificante' proprio perché aveva troppo significato. Troppo 'gonfio', sproporzionato, inadeguato, quindi bersagliato, infamato, distrutto. Cercavo di tenerlo il più possibile distante da me perché il suo ruolo nella mia vita era diventato determinante, non per la mia sopravvivenza ma per la mia distruzione. 
Io e lui così diversi, così estranei. Ora abbiamo fatto pace. Adesso so che grazie a lui posso... Il nostro conflitto mi ha dato modo di conoscerlo e riconoscerlo, di imparare ad emozionarmi e a sentire, percependolo anche come un prezioso veicolo del mio sentire. Punirlo? 
Non sento più 'il bisogno' di punire me stessa.

Rosy

venerdì 8 dicembre 2017

La malattia mi ha resa una persona migliore


Mi è stato chiesto cosa io desideri per il mio compleanno. Mi è stato chiesto se vorrei cambiare qualcosa di questi 29 anni. Sono domande impegnative, se non ci si limita a rispondere "la pace nel mondo" o "toglierei la malattia". 
Queste sono risposte abbastanza ovvie. Ma...
Ma. Il mio desiderio più grande non so veramente quale sia, perché sceglierne uno? Vorrei talmente tante cose che ad elencarle tutte vi annoierei. Ve ne dico solo qualcuna: vorrei che i miei genitori e la mia famiglia fossero fieri di me. 
Vorrei che non avessero mai il minimo dubbio sul bene che provo verso di loro. 
Vorrei dimostrare gratitudine e amore in ogni mio gesto. 
Vorrei che ognuno di loro si sentisse tranquillo e sereno, soddisfatto e grato alla vita. 
Vorrei che nessuno di loro si chiedesse "Perché a noi? Perché a lei? E' colpa mia? Dove ho sbagliato?". 
Vorrei che vedessero colori e sfumature attorno ad ogni cosa. 
E vorrei dar loro modo di vivere la loro vita senza curarsi e preoccuparsi della mia persona. Queste le cose che mi premono.
Se potessi cambiare qualcosa...risposta non scontata. Forse no. Forse la malattia, pur togliendomi tanto/tutto, mi ha resa una persona credo migliore. Sensibile, empatica, emotiva, attenta, non superficiale e affatto scontata. Conoscere da vicino il dolore, toccarlo, sentire quanto sia amaro...mi aiuta ad apprezzare la dolcezza delle piccole cose, dei gesti più spontanei e di cui nessuno si cura. 
Certo, è stata ed è ogni giorno una lotta con me stessa e il mio intorno...ma non credo che, potendolo fare, sceglierei di ripartire senza questo bagaglio. Potendo, chiederei la possibilità di alleviare la pena ai miei cari, e forse, dico forse, sentirmi leggermente più stabile almeno ogni tanto.
Per concludere, torno alla banalità di un desiderio che ho avuto ad ogni compleanno...
Vorrei nevicasse. 
Da piccola per poter giocare sulla neve, ora per poter dipingere di bianco il nero che vedo sempre e comunque. Alleggerire la prospettiva e mettere in pausa il dolore, almeno per un giorno. 
Una neve.....salvifica, ossigenante.

Lara

domenica 3 dicembre 2017

Il mio unico aguzzino ero io



L'AUTOPUNIZIONE COME FORMA DI APPAGAMENTO

Desiderio, bisogno, piacere, senso di colpa, punizione, senso di libertà.
Resistere a un desiderio, bandire il piacere, eliminare il senso di colpa, punirsi per liberarsi. 

La punizione negli anni più bui aveva assunto nella mia vita le false sembianze di un bisogno da soddisfare, era l'unica cosa che mi poteva dare la sensazione di sentirmi appagata, soddisfatta, fintamente gratificata per essere riuscita ad oppormi ad una tentazione o per aver trovato rimedio ad un mio cedimento davanti ad esse, un dolore mascherato da piacere. Solo castigandomi potevo espiare la colpa di essermi concessa ad un insulso piacere corporale ed emotivo. 

La punizione auto inferta era l'unico sapore che pensavo mi provocasse benessere, quel sapore di libertà dal senso di colpa che però ahimè rimaneva sempre lì, perché anche solo dopo qualche minuto che la mia mortificazione si era consumata io ricominciavo a sentirmi sporca, in difetto, sbagliata. Quelle lunghe camminate mattutine e pomeridiane, che non avevano alcunché delle piacevoli passeggiate ma solo la rigidità di una marcia dal gusto belligerante, scandita dai passi di un soldato pronto per la battaglia sempre contro me stessa. Così come quel finto rifugio di casa in cui passavo i minuti più violenti delle mie giornate, aggredendo quel corpo già duramente provato, dove solo due dita della mia mano mi provocano più dolore di qualsiasi ferita inferta dalla lama più tagliente. Ed ogni volta, che sia stato per strada o in bagno, mi ripetevo sempre la stessa cosa: "Dai un altro piccolo sforzo, hai quasi finito, pensa che raggiunto lo scopo ti sentirai meglio", quasi per incoraggiarmi a sopportare gli ultimi interminabili istanti di agonia. 

Beh, non posso non commuovermi in questo momento, e vi assicuro che lo sto facendo. Non solo perché ora vorrei poter abbracciare forte la persona che ero, ma anche perché dopo tanto dolore mi sento libera non grazie alla punizione, ma all'aria che respiro quando passeggio tra le strade di campagna vicino casa mia, o quando non sento più ogni angolo di casa come una gabbia o il bagno come un purgatorio, ma come luoghi in cui non vedo l'ora di tornare dopo una lunga giornata lontano da essa. 

Per troppo tempo il mio unico aguzzino sono stata proprio io, liberato da questo crudele compito, ora è diventato il mio migliore amico.

Rosy