Fine settembre 2013 - fine settembre 2017: 4 anni, sono
passati 4 lunghi anni dall'inizio della mia terapia. E solo negli ultimi
giorni, in occasione di questa ricorrenza, ricordo un episodio, un avvenimento
che a modo suo si è poi rivelato essere terapeutico e che mi ha insegnato che è
davvero possibile trasformare gli ostacoli in opportunità, anche quando ci si
ritrova impantanati nel buio più profondo della malattia.
Era il 2015, una mattina di pioggia di metà aprile, la mia
psicoterapeuta era impossibilitata a fare i nostri colloqui, a causa di un
incidente. Non appena venni a saperlo, un nodo mi strinse talmente forte la
gola che non riuscivo a trattenere le lacrime, scendevano ininterrottamente. Il
mio istinto, quell'istinto di sopravvivenza che (per fortuna) prende il
sopravvento nei momenti critici del percorso, mi suggeriva che dovevo fare
qualcosa, qualcosa per fermarle, qualcosa per salvarmi.
Io che fino ad allora avevo rifiutato qualunque approccio
o tentativo di avvicinamento, mi sentivo persa, abbandonata, completamente sola.
Ero distrutta. "Come
un castello di carte travolto da una tempesta di sabbia",
scrissi poco dopo.
Quella mattina, mi tornò in mente un bigliettino da visita
che la Dottoressa mi aveva lasciato e su cui aveva appuntato il suo indirizzo
e-mail: "Mi scriva Sandra, ogni
volta che vuole", mi disse all'inizio del nostro percorso insieme; era
ormai già passato più di un anno.
Ma io, in realtà, non avevo mai scritto nulla, di me, su
di me, non ci ero mai riuscita prima.
Com'era possibile che esistessero davvero parole per dare
un senso a quel dolore che mi portavo dentro?
E invece esistevano, esistono. Lei che sin dall'inizio
aveva tanto insistito sul valore e sull'importanza della parola, delle parole,
nel momento in cui queste parole tra di noi erano venute a mancare, lei era
riuscita a tirarle fuori dal profondo della mia oscurità, una dopo l'altra.
Solo quella mattina, solo allora, trovai il coraggio di
scrivere, di mettere per la primissima volta nero su bianco quello che provavo.
L'urgenza di comunicare il mio dolore era diventata tale, dopo anni e anni di
silenzi che avevano accompagnato l'arrivo della malattia, che non potevo più
soffocare quel disperato grido d'aiuto che portavo dentro. Per anni lo avevo
nascosto dentro, camuffato agli occhi altrui per la paura del giudizio; ero
un'adolescente, intorno a me c'erano continuamente occhi che misuravano, che
sop-pesavano, la mia bellezza, la mia preparazione, il mio valore. Davo per
scontato che avrebbero capito: i silenzi pieni di
tutto e di niente, gli sguardi persi nel vuoto, a contemplare una sofferenza che a
poco a poco stava strappando leggerezza alla mia gioventù.
Avevo finalmente trovato una "compagna di viaggio"
capace di accoglierlo, di ascoltarlo, quel grido, con tutto l'amore e le
attenzioni che solo una relazione terapeutica efficace sa restituire.
Avevo bisogno di aiuto, e fu quella la prima volta in cui
mi resi davvero conto che "da sola" non ce l'avrei fatta, non sarei
sopravvissuta alla violenza della malattia senza un aiuto esperto. Scrissi
quelle parole di getto, con una franchezza a me ancora del tutto sconosciuta.
Ricordo ancora oggi, a due anni e mezzo di distanza, la
grande emozione che provai nel ricevere la risposta a quella prima email:
"Cara Sandra, nessuno riesce da solo, tutti
abbiamo bisogno di compagni di viaggio e di riferimenti che ci aiutino e ci
incoraggino nel percorso…".
Credo che in fondo già allora il mio inconscio sapesse che
quello sarebbe stato l'inizio di un lungo e intenso dialogo, al fianco della
mia guida, con la mia parte più intima, quella più bisognosa di ascolto e di
attenzioni per poter ricominciare a vivere, per guarire.
E così, un po' alla volta, ho imparato che ci sono parole che possono davvero rimarginare le ferite e riappacificare gli animi.
E così, un po' alla volta, ho imparato che ci sono parole che possono davvero rimarginare le ferite e riappacificare gli animi.
Non sottovalutare mai la forza delle parole,
possono ferire, come missili, armi da fuoco, per annientare il nemico.
Non sottovalutare mai il peso delle parole,
possono
diventare aria,
da respirare, ossigeno, per vivere.
Non sottovalutare mai il valore delle parole,
possono
essere carezze, per accogliere chi ci
vuole bene, chi ti vuole bene.
E, soprattutto, non sottovalutare mai te stessa,
vali molto di più di quanto la malattia ti fa credere.
Sandra
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