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mercoledì 23 maggio 2018

Caro Corpo...


Caro Corpo,
si dice spesso che tu sia "l'abito del disagio" e credo questa sia una delle migliori definizioni per descrivere il rifugio in cui alberga un disturbo alimentare.
Ma cos'è in fondo un corpo usato e maltrattato per "colpa" della malattia?
Che cosa resta di quel corpo quando la malattia lascia finalmente spazio alla vita, alla luce, ai desideri di chi lo abita?

Sin da piccola ti ho sempre regalato poche, pochissime, attenzioni. Un po' per educazione, un po' per abitudini di famiglia, per me sei sempre stato di secondaria importanza rispetto alla mente. Per principio, non è mai stato importante essere necessariamente belli per valere. Ma essere in salute, quello si, a prescindere: "la salute prima di tutto".

E poi, invece, paradosso dei paradossi, mi sono ammalata di un disturbo che "mangia" la mente distruggendo il corpo.
Sai, Corpo, forse solo da quando ho iniziato a ricordarmi che esisti anche tu, e che io senza di te non esisto (cioè a ricordarmi che gli esseri umani non sono solo mente, ma anche corpo, l'uno non può prescindere dall'altro e viceversa) e a prestare ascolto a S., non più solo alla voce intransigente della malattia, ho iniziato a rendermi davvero conto di quanto ti ho trascurato negli anni. Messo in un angolino, sfruttato sempre per un fine, per uno scopo, usato per sopravvivere alle mie giornate (sai com'è, in alcuni momenti anche respirare era uno sforzo che richiedeva energia…), un "biglietto da visita" per la mia malattia.

E ho iniziato così a farti la guerra. Su di te ho sfogato spesso le tensioni e le ossessioni della mente, la mia rabbia, le mie frustrazioni, alimentando così un circolo vizioso che solo dopo anni, tanti anni, ho saputo riconoscere nella trappola del disturbo alimentare.
Pensa, ho dovuto riconoscermi in un disturbo alimentare, cioè riconoscere (e accettare) la malattia, ancor prima che la tua bellezza e il tuo essere in salute (come succede normalmente alle ragazzine), per ricominciare a guardarti, ad ascoltarti, a interrogarmi su ciò di cui hai davvero bisogno per essere, per stare al mondo.

E proprio perché per stare al mondo non basta soltanto respirare, una volta superato questo primo enorme scoglio, ho iniziato a scavare, a scavare dentro, nei meandri del mio passato, a guardarmi con tutte le mie paure addosso. Mi sono seduta a tavolino con le mie fragilità, a regolare i conti con un 'mostro' che non mi ha concesso di assaporare, di vivere appieno la mia giovinezza.    
Dopo un lungo lavoro introspettivo, ho finalmente iniziato a capire che cosa stava succedendo: la malattia ci stava mangiando, ci stava spegnendo, caro Corpo. La malattia ci ha raggirati, allontanati: ai miei stessi occhi, tu sempre più ingombrante, io sempre più inadatta.

Ho ancora paura, lo confesso. Paura di toccarti, di accarezzarti, di coccolarti. Eppure quel gran bisogno di abbracci, di contatto umano, per sentirmi viva, per sentire un po' d'amore. Per amarmi e sentirmi amata come un essere umano in carne ed ossa.
Abbiamo probabilmente ancora un po' di strada da percorrere prima di poterci riabbracciare e sentirci uniti, indissolubilmente. Ma ho fiducia in chi mi è accanto e mi sta guidando, passo dopo passo, fuori dalla caverna in cui ci siamo rintanati per tutto questo tempo, per scoprire che lì fuori il mondo può avere colori bellissimi. 

S.

 

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